Karim Franceschi: Il combattente. Storia dell’italiano che ha difeso Kobane dall’Isis

Karim Franceschi

Ed. BUR-Rizzoli

pagg. 350

Sono arrivato ad interessarmi a questo libro per caso e con un certo scetticismo ma devo ammettere che invece è stata una piacevole sorpresa. Tempo fa, durante un’estenuante sessione serale di “zapping”, ormai disperato, sono approdato ad una puntata già iniziata di un talk show di una rete nazionale, in cui veniva intervistato un certo Karim Franceschi: “l’italiano che ha difeso Kobane dall’ISIS”. Tuttavia lì per lì, vuoi per la stanchezza, vuoi perché mi ero perso parte dell’intervista, non avevo inquadrato bene la vicenda. Il riposo notturno che ne è seguito, interrotto più volte dal pianto di mia figlia tipico dei neonati affamati, ha fatto il resto e il mattino seguente nella mia povera testa non vi era più traccia dell’intervista.

Qualche mese dopo mio padre mi propose di leggere il libro “Il Combattente”, di un certo Karim Franceschi e per qualche miracolo della natura quel nome venne subito riconosciuto da quell'agglomerato di neuroni che è solito oziare protetto dalla mia calotta cranica e così si ricompose nella mente la figura di quel giovanottone dallo sguardo malinconico, visto in televisione mesi prima. Era l’occasione giusta per conoscere le gesta di Franceschi “Il combattente”.

Il libro l’ho letto tutto d’un fiato, in quanto è scritto con un linguaggio che ho trovato chiaro e con uno stile accattivante, quasi privo di retorica. Si vede che è stato scritto da un giovane che si rivolge principalmente a suoi coetanei. Ma veniamo alla storia de “Il combattente” condensata nel libro curato da Fabio Tonacci, giornalista di Repubblica.

Karim Franceschi è nato nel 1989 a Casablanca, figlio di un ex partigiano toscano e di mamma marocchina, a nove anni si è trasferito con la famiglia in Italia per i problemi di salute del padre, stabilendosi a Senigallia. Lì ha completato gli studi ed ha sviluppato la propria coscienza individuale e quella politica, dichiaratamente comunista. Nel 2014 ha preso parte ad un’iniziativa umanitaria che gli ha fatto conoscere in prima persona il dramma vissuto dalle popolazioni curde soggiogate alle truppe del Califfato a Kobane, in Siria. Tale esperienza lo segnò a tal punto che decise di prendere parte alla battaglia per la difesa di quella città arruolandosi, nel gennaio 2015, nel YPK (Unità di Protezione del Popolo), ossia il braccio armato del movimento politico di cui l’autore, per sua stessa ammissione, è tutt’ora “innamorato”. Quindi, attraversando furtivamente nottetempo la frontiera turca, ha raggiunto la città di Kobane e dopo un brevissimo e rudimentale addestramento, che però ha messo in luce abilità a lui stesso sconosciute fino ad allora, ha partecipato per circa tre mesi ai tremendi combattimenti per la liberazione della città e all’inseguimento fino all’Eufrate delle truppe in ritirata del Daesh. Franceschi, anzi “Marcello”, afferma di essersi guadagnato in quei mesi, sul campo, la stima degli altri combattenti dell’YPG, fino a diventare quasi una leggenda tra le truppe sulla linea del fronte. Infine, nel marzo del 2015 ha fatto rocambolescamente ritorno in Patria.

Al di là dei convincimenti politici dell’autore che si possono più o meno condividere e che necessariamente influiscono sul racconto, vi sono molti aspetti del conflitto siriano trattati in questo libro che ho trovato interessanti. Per prima cosa la facilità con la quale l’autore descrive le modalità con le quali un foreign fighter, pur disponendo di limitate risorse, può prendere parte al conflitto e tornarsene poi “a casa” (se sopravvive!), usando un semplice visto turistico e superando tutti i controlli di sicurezza doganali (eppure all’epoca del racconto di Franceschi erano appena accaduti i fatti di “Charlie Hebdo”). Secondo, la varietà dei personaggi incontrati e citati dall'autore che, simili a falene attratte dalla luce, ruotano intorno al conflitto ed al suo carico di morte. Ancora, il ruolo che ha avuto la coalizione internazionale per la lotta al Daesh nella battaglia di Kobane e d’altro canto, la “porosità a senso alternato” (per usare un eufemismo) del confine tra Turchia e Siria nei confronti dei combattenti di ambo le parti.

Quarto, i principi “democratici” alla base del funzionamento delle unità dell’YPK e la loro organizzazione “informale”, messi a dura prova dalla ferocia dei combattimenti con le truppe del Daesh. Infine, l'impressionante quantità di armi di tutti i tipi e di varia provenienza in possesso dei combattenti dei due schieramenti (quanto ha ragione il Santo Padre!).

In definitiva, il libro di Karim o di “Marcello” che dir si voglia, rappresenta secondo me un'interessante testimonianza del conflitto in atto in Siria, che peraltro conferma molti aspetti quotidianamente messi in luce da Difesaonline. Eppure in rete ho letto diverse recensioni particolarmente feroci, che più che altro mettono in evidenza gli aspetti politici del libro, arrivando in taluni casi ad affermare che si tratti di una mera operazione commerciale con fini politici (è riportato che parte dei proventi della vendita sarà destinata alla ricostruzione di Kobane). Sinceramente non mi interessano le polemiche. Piuttosto ho apprezzato la possibilità offertami dal libro di poter entrare per un attimo nella testa di un ventiseienne italiano che, animato da una forte motivazione e senza aver mai imbracciato un’arma in vita sua, prima è diventato un asso dei giochi di guerra da consolle, si è documentato sul conflitto e ha guardato ore e ore di video tutorial sull’uso delle armi in uso all’YPG, poi è partito per la Siria e ha combattuto veramente. Laggiù ha imparato a uccidere apprendendo e mettendo in pratica tecniche di combattimento degne di un soldato di professione, tanto che al culmine della sua esperienza “bellica” ha agito addirittura quale cecchino, ruolo che lo ha portato a uccidere “a sangue freddo”. E adesso è tornato in Italia.

Se ciò non fosse abbastanza sconvolgente, a distanza di settimane da quando ho finito di leggere questo libro molte domande continuano ad infiammare i miei poveri neuroni, mettendoli a dura prova ed in particolare tre su tutte: per una precisa scelta politica dei principali attori statuali globali, stiamo forse andando inesorabilmente verso un mondo in cui i conflitti saranno affari esclusivi di terroristi, partigiani, miliziani, foreign fighters, contractors, operatori di intelligence, operatori di forze speciali, piloti e droni armati? Se così sarà, quali conseguenze possiamo immaginare per le nostre amate Forze Armate? E quali saranno le conseguenze per le sfortunate popolazioni che si troveranno coinvolte in tali conflitti?

Basta. Mi fa già male la testa. Buona lettura.

Ciro Metaggiata