Giuseppe Monsagrati: La primavera della repubblica

Giuseppe Monsagrati
Ed. La Lepre
pagg.184

L’autore, già professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, affronta, in questo saggio – che ha la prefazione della dottoressa Mara Minasi, direttrice del Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina di Porta San Pancrazio - la breve esperienza della Repubblica Romana, approfondendone due aspetti principali: quello della trans-nazionalità e quello dell’atteggiamento della popolazione romana. Ma perché la Repubblica proprio a Roma? Una delle motivazioni fu l’illusione che il 16 giugno 1846 fosse stato eletto un papa liberale e liberatore: Pio IX. Ma l’amnistia da lui concessa il 16 luglio, che tante speranze aveva dato, fu il solo atto veramente rivoluzionario che egli compì; dopo due anni di regno, infatti, si accorse “di non avere più la forza e, all’interno della curia, il consenso necessari per attuare i suoi progetti, concepiti in parte sotto la pressione delle folle.” E così, con la sua decisione di abbandonare il fronte indipendentista, formalizzata con l’allocuzione del 29 aprile 1848 iniziò “la parabola discendente del mito del papa liberale.” L’attentato, il 15 novembre, al capo del governo Pellegrino Rossi, fu un chiaro messaggio al Papa che, la notte tra il 24 e il 25 novembre, decise di fuggire a Gaeta.

Nata il 9 febbraio, la Repubblica fu subito vista, dagli osservatori stranieri, come pericolosa in quanto la ribellione “avrebbe potuto contagiare altri pezzi della società europea”. I suoi principali nemici furono l’Austria, il Regno meridionale e la Francia. Giunti a Roma il 30 aprile i francesi, al comando del generale Oudinot, subirono, nella zona del Gianicolo, una sconfitta anche grazie all’intervento di Garibaldi. La difesa del popolo romano vide sulle barricate, a combattere, oltre ad alleati stranieri, come il capitano francese Laviron, anche le donne. Fallita la trattativa del Triumvirato - costituito da Mazzini, Armellini e Saffi - con la Francia, all’alba del 3 giugno Oudinot scatenò l’assalto finale, sempre al Gianicolo. Tra i tanti caduti nella strenua difesa della Repubblica, oltre a Luciano Manara, Enrico Dandolo, Goffredo Mameli, ci furono belgi, svizzeri, polacchi e ungheresi. Fedele al suo principio – le monarchie possono capitolare, le repubbliche muoiono – Mazzini, contrario a qualunque tipo di resa, il 30 giugno, messo in minoranza dall’Assemblea, si dimise assieme agli altri due triumviri. Il 1° luglio il nuovo triumvirato trattò la resa con la Francia.

“L’atto finale della Repubblica fu la sua Costituzione democratica, proclamata e letta dal Campidoglio il giorno stesso dell’entrata dei francesi.” Era il 3 luglio 1849.

Gianlorenzo Capano