Fiammetta Positano De Vincentiis: Incrociatori per il Sol Levante

Fiammetta Positano De Vincentiis
Ed. De Ferrari, Genova 2005
pagg.145

Un lavoro lungo quasi vent’anni quello di Fiammetta Positano De Vincentiis che, a causa della scomparsa prematura del padre Salvatore, autore di questo diario ambientato ai primi del novecento, non ha potuto avere da lui notizie di prima mano, ma le ha dovute cercare viaggiando e raggiungendo gli stessi luoghi dove il padre era vissuto.

Salvatore Positano De Vincentiis era un ingegnere navale che lavorava presso i Cantieri Ansaldo di Genova. A lui erano state affidate le due navi da guerra, Nisshin e Kasuga, vanto dell’industria navalmeccanica italiana, ed il cui allestimento doveva essere portato a termine durante la navigazione. Derivate da un progetto dell’ispettore generale del Genio Navale Edoardo Masdea, appartenevano ad una classe di dieci unità, nate inizialmente per la marina italiana per poi essere esportate all’estero. In particolare, le due unità protagoniste di questo epistolario, “erano state offerte al governo Russo, poi a quello Inglese ed infine all’Argentina, che le aveva battezzate Moreno e Rivadavia.” Furono poi vendute dall’Argentina al Giappone, ad un costo di 760.000 sterline ciascuna, probabilmente per una manovra diplomatica dell’Inghilterra che non voleva che le due navi finissero in possesso della Russia. Ultimate il 7 gennaio del 1904, arrivarono in Giappone l’11 aprile dello stesso anno, due giorni prima dell’inizio del conflitto russo-giapponese. Incorporate nella seconda divisione al comando dell’Ammiraglio Kamimura, fecero parte della flotta dell’Ammiraglio Togo.

”Francesi e spagnoli, affermava Nelson, potranno costruire anche navi più belle e più forti di quelle inglesi ma non potranno mai fabbricare gli equipaggi inglesi; Togo, assai meglio del suo grande predecessore, potrebbe ripetere le stesse parole perché, malgrado il colossale errore strategico dell’Ammiraglio Rojestvenski, la vittoria giapponese è vittoria di uomini, di organismi e di virtù militari.” Questo è quanto riporta l’autore a commento della battaglia del Mar del Giappone, che segnerà “la supremazia marittima del Sol Levante su tutte le coste dell’Estremo Oriente”. Le nostre due navi vi prenderanno parte per poi finire la loro vita, il Nisshin nel 1936 come nave-bersaglio, il Kasuga, sopravvissuto al secondo conflitto mondiale anche se danneggiato dai bombardamenti aerei americani, nel 1948. Questo epistolario, iniziato con una lettera del 12 gennaio 1904, ed ultimato con una lettera del 20 luglio 1905, oltre ad essere in parte un diario di bordo (“ora la nostra nave è una vera cosmopolis: nave argentina costruita in un cantiere italiano con un comandante inglese,un ammiraglio giapponese e un equipaggio d’italiani, inglesi arabi: ce n’è per tutti i gusti. Si batte sempre bandiera commerciale giapponese”), ci permette di avere una descrizione degli usi e costumi dell’epoca del paese del Sol Levante, dove il nostro ingegnere rimase per 5 anni come addetto commerciale presso l’Ambasciata Italiana. E cosi veniamo a scoprire che “la gente superstiziosa spiega la frequenza dei terremoti con una leggenda che narra che il Giappone è posato sul dorso di un pesce lunghissimo. L’animale per liberarsi dall’incomodo peso e per sgranchirsi le membra, dà qualche volta un grande scrollone, producendo quei rivolgimenti che gli uomini della scienza chiamano terremoti.”

Triste è la condizione della donna giapponese descritta dall’autore. ”La donna giapponese, come in generale tutte la donne d’Oriente, è in una continua e umiliante condizione di servitù che, soffocando in lei qualunque iniziativa, ne attenua e ne comprime l’intelligenza.”Altra caratteristica del popolo giapponese è il silenzio. “Il giapponese studia in silenzio, osserva in silenzio, e sorride in silenzio”. Il giapponese ha visto calpestare il proprio orgoglio e la propria fierezza, è stato umiliato, ma ha saputo attendere. Così molti scienziati sono andati dovunque in America ed in Europa per studiare da dove derivasse la loro potenza.”E queste nazioni, cieche di vanagloria, accoglievano con sorrisi di compassione i commissari, gli ingegneri, i professori dell’esercito e della marina, pensando che l’impero del Sol Levante fosse ancora il paese delle piccole tazze variopinte, dei ventagli e dei lampioncini di carta. Intanto il Giappone studioso, silenzioso e infaticabile faceva tesoro di tutto: delle cose buone per imitarle, degli errori per sfuggirli. Oggi non vi è questione orientale in cui gli interessi europei non siano affiancati da quelli del Giappone.”

Proseguendo nella lettura incontreremo diversi di questi episodi che ci aiutano a farci un’idea di come potesse essere allora un popolo da noi cosi lontano. Ed a completamento di tutto, si trova un’appendice fotografica con immagini che “raccontano soprattutto storie di uomini, che sono tanto importanti quanto quelle delle due navi, se non addirittura di più.”

Gianlorenzo Capano