Tanto tuonò che piovve

(di David Rossi)
01/06/18

Tanto tuonò che piovve. La saggezza popolare ci ammonisce a interpretare i segni che vediamo attorno a noi, a partire dalla crisi politica lunga quasi tre mesi che, per fortuna (anche se non solo per un disegno cieco e irrazionale quale la fortuna) si va risolvendo in queste ore, col giuramento del primo gabinetto di Giuseppe Conte.

Nelle ultime settimane, la sfida è stata, per così dire, bellum omnium contra omnes: solo il più forte avrebbe potuto prevalere, in uno scontro che tanto sarebbe piaciuto al pensatore giusnaturalista Thomas Hobbes. Già, secondo l’autore del Leviatano, la natura umana è fondamentalmente egoistica e diffidente, e a determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione. In una tale visione, sembra di scorgere la genesi del “contratto” tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio: l'uomo può sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile e a legarsi in consorzio non in virtù di un amore naturale, ma soltanto per il timore reciproco.

Questo stato di cose porta, come conseguenza, alla prevalenza del Maschio Alfa del branco della politica italiana, che non è quello che grida più forte o che attira più individui vocianti attorno a sé: è quello che piega la volontà di quello e di questi, perché a prevalere sia a sua come succede in natura, dove solo il Maschio Alfa trasmette il proprio DNA. Nella politica italiana questi è capace di dettare le condizioni del gioco e di mettere a sedere i giocatori decisivi, a dispetto di questo o di quel capobranco.

Avrete capito che sto parlando del presidente della Repubblica. Il governo del cambiamento è stato… cambiato dopo un braccio di ferro durato cinque giorni, nel corso del quale si sono alternati psicodrammi personali (Di Maio) e tentativi di arrocco, con Matteo Salvini e la Lega che si sono fatti scudo della campagna elettorale per le amministrative e dei sondaggi di opinione per non perdere una posizione favorevole.

Tutto inutile. Ha prevalso la volontà del Quirinale, un palazzo dove, evidentemente, parafrasando Dante “si può ciò che si vuole”. Paolo Savona, autorevole economista ma non un genio della comunicazione politica, è stato così spostato ai rapporti con le istituzioni europee: a ben vedere, non un passo avanti rispetto al luogo dove lo avevamo lasciato la bellezza di 24 anni fa: a occuparsi di industria e commercio nel governo di Carlo Azeglio Ciampi.

Al ministero con sede nel Palazzo delle Finanze in Via XX Settembre, quello che detiene le chiavi del potere esecutivo in Italia (se il colle più alto è d’accordo), è stato messo Giovanni Tria, non un fiero europeista e non un amicone della Germania (chi potrebbe esserlo, leggendo le sviste dei queruli e pettegoli politici teutonici di questi anni?), ma a leggerlo un sano realista in materia di gestione dei conti. “Uscire dall'euro? 'Non conviene', ma l'Europa va cambiata da dentro o il sistema imploderà. Sforare il deficit ottenendo una modifica delle regole Ue? È 'improbabile'. Il Reddito di Cittadinanza? Una forma 'rafforzata' di indennità di disoccupazione. La Flat tax? Può funzionare, ma sulle coperture non si può scommettere: deve essere graduale e può essere finanziata con l'aumento dell'Iva. La Legge Fornero? 'Velleitario' parlare di modifiche senza dire come. Ilva? Una posizione 'imbarazzante'1. Musica per le orecchie di chi scrive. Forse saprà cantare in coro col gabinetto Conte: o più probabilmente, farà da direttore d’orchestra. Sì, perché il Nostro pare avere le idee chiare quando scrive sul Sole 24 Ore a quattro mani col berlusconiano Renato Brunetta: “Il maggior pericolo è l'implosione, non l'exit. Ragioniamo sulle proposte in campo e cerchiamo soluzioni condivise da tutti i Paesi membri dell'Unione europea, per percorrerle insieme piuttosto che usare la logica 'Brexit', per cui quando l'Europa non conviene o non piace più la si abbandona. Cambiare insieme, come gioco strategico a somma positiva, è possibile e conviene. Uscire da soli significa pagare solo costi senza benefici"2.

Se fossimo stati in una vera Repubblica presidenziale, probabilmente il ministro sarebbe stato scelto ancora di più secondo il cuore del capo dello Stato: tuttavia, anche così la mano di Sergio Mattarella si vede eccome sull’ordito del governo. Il tocco quirinalizio si avverte di più nella scelta del vertice della Farnesina, dove gli stakeholder dell’esecutivo avrebbero voluto dirottare proprio Paolo Savona.

Niet! Sulla poltrona che fu di Aldo Moro, di Giulio Andreotti, di Lamberto Dini, di Franco Frattini e, più di recente e con meno gloria, di Angelino Alfano, si accomoderà Enzo Moaghero Milanesi, già ministro con Mario Monti e Enrico Letta. Negoziatore instancabile, attento alla fase preparatoria, ha salvato il nostro Paese ponendo il veto al governo tedesco quando si opponeva allo scudo anti-spread3. Scusate se è poco… Insomma, il Quirinale ha forzato la maggioranza giallo-verde (che per poco non è diventata la maggioranza Giamaica, facendo entrare Fratelli d’Italia) sulla strada che probabilmente aveva in mente dalla sera stessa delle elezioni: un governo con fondamenta politiche ma con una solida ossatura tecnica.

I prossimi quattro anni offriranno alle forze così dette “sovraniste” la rara opportunità di governare, sia che proseguano con questa legislatura sia che tentino il “colpaccio” tra qualche mese per rafforzarsi al Senato. Poi, si aprirà la partita più importante: la successione a Mattarella. Perché nel bene e nel male è nell’ex palazzo del Papa Re che si prendono le decisioni più importanti. E a qualcuno potrebbe piacere diventare il Trump italiano. Anzi, di più: perché Trump non può tenere i membri del Congresso sotto la spada di Damocle di nuove elezioni immediate e devastanti, per costringerli a cessare le ostilità. Già, possiamo concludere affermando che sulla copertina del moderno Leviatano, in Italia questi avrebbe il volto del presidente della Repubblica….