L'otto settembre e l'Italia in grigioverde che non esiste più

(di Andrea Pastore)
08/09/15

Galli della Loggia sancì in un noto scritto che con il 25 luglio la patria fosse morta, sarebbe da aggiungere che l'8 settembre se ne celebrarono le esequie ed oggi con il XXI secolo in stato avanzato (di decomposizione) possiamo tranquillamente ritenere chiuso il capitolo dell'Italia indipendente e sovrana.

Perché tanto pessimismo è presto detto, l'Italia del 1943 aveva certamente già perso la guerra, probabilmente la perse già con la decisione americana di accettare il guanto di sfida giapponese a Pearl Arbour, certamente la perse perché nella millenaria lotta della carne contro l'oro quest'ultimo ha sempre vinto.

Allora cosa si sarebbe dovuto fare? Probabilmente non entrare in guerra, ma tolta questa opzione, impraticabile per ragioni storico-politiche troppo complesse da definire in poche righe, ben poco altro restava nelle mani di chi era deputato alle decisioni ultime. Posti quindi nella condizione degli sconfitti, per evitare che le centinaia di migliaia di morti sacrificati all'altare del molok bellico, possano essere caduti invano, il ragionamento deve transitare dal piano materiale dell'interesse di alcune elite verso la dimensione etica dell'interesse comunitario.

Senza l'8 settembre 1943 l'Italia avrebbe comunque perso la partita bellica, ma certamente avrebbe vinto la guerra dell'identità e della nazione. Affinché ciò potesse avvenire era necessario però che alcune figure non si trasformassero in figurine o "figurelle", tanto per ricordarne qualcuno viene in mente il re fuggiasco, il Badoglio trasformista, il "britannico" Grandi e l'inadeguato Mussolini, una congerie di individui che diedero prova di pochezza politica e di opportunismo becero consegnando contemporameamemte agli invasori alleati e tedeschi indistintamente una Italia divisa in due prima di tutto dal punto di vista morale e poi anche sul piano fisico ed economico.

L'8 settembre per queste ragioni sarà la data simbolo del marasma italico e nel contempo il redde rationem delle bassezze perpetrate dai Savoia, da Garibaldi, Sonnino, Badoglio ed altri, il contrappasso di una unità fatta in fretta e furia sulla scorta di interessi stranieri e sulle spalle degli ideali immacolati e nobili di una generazione di idealisti che potremmo definire "mameliani", ne venne fuori un succedaneo di patria il cui gusto amaro cominciammo ad assaporarlo in quel giorno di fine estate del 1943 e proseguiamo a mal digerirlo oggi, senza avere la forza di sputarlo via.

Nella società delle masse condizionate dalla pubblicità, moderno totem della divinità mercantilistica, è nei simboli che va cercato il bandolo della matassa di questa onta settembrina. Tra le tante discrasie simboliche di questo tempo come dei tempi passati peraltro, una delle più forti e meno note sono la foggia ed il colore  delle uniformi militari, ancora oggi infatti l'esercito italiano, prima forza armata dello Stato e simbolo della coesione nazionale e perché no, tutore dell'interesse nazionale in quanto difensore di ultima istanza della nazione. Questa fondamentale istituzione, a più di sett'antanni dall'armistizio di Cassibile, veste foggia e colori dell'inimico invasore, poi amico finanziatore, nel più classico stile italiano di stare un po' con tutti per poi dimostrare di non aver avuto a che fare con nessuno, ma tornando alle uniformi l'intento degli alleati durante gli anni della guerra era chiaro annullare i simboli forti dello stato oltre che gli uomini ed annullando ciò cancellare in modo permanente la memoria, in particolare privando un esercito delle proprie uniformi lo si faceva rinunciare, anche a mente del diritto internazionale, alla propria legittimità, svuotandolo della propria funzione ed andandone a minare l'elemento essenziale della motivazione al combattimento, la volontà.

Sembra assurdo che un cambio di colore e di taglio delle uniformi possa tanto, in realtà in un ambiente fatto di simboli che sulla tradizione e la ripetitività fonda la sua efficienza tutto ciò diviene essenziale. Dall'esempio dell'uniforme e dalla mancanza di volontà, ancora oggi, nel ritornare al "defunto" grigio-verde il segno tangibile che gli effetti di quell'8 di settembre sono una ferita ancor troppo viva nella coscienza di un popolo che non seppe mai farsi nazione.