Italiani alle armi!

(di Paolo Palumbo)
19/07/18

Matteo Salvini è sulla strada giusta – la sua ovviamente – per mantenere le promesse fatte ai suoi elettori prima del voto. Una feroce lotta all’immigrazione (sempre a modo suo) e adesso una rapida approvazione sulla legge per la legittima difesa. Quello che ci chiediamo è se davvero gli italiani possano trasformarsi improvvisamente in rudi texani iperarmati e tenere nelle loro abitazioni fucili, pistole e munizioni allo scopo di proteggere il proprio “ranch”. Alla luce di quanto sta uscendo sulla stampa, il primo problema sembra essere il compromesso siglato tra il ministro dell’Interno e la lobby delle armi che ha scioccato un po’ tutte le testate giornalistiche: ma davvero si pensava che una legge simile non includesse un patto con questi fabbricanti?

L’Italia, malgrado a molti faccia comodo pensare il contrario, è uno dei paesi dove le armi si fabbricano e anche di qualità eccellente. Non si parla solo di armamenti navali, aerei o cingolati, ma soprattutto armi individuali. Il mercato è fiorente e sebbene le armerie lamentino crisi ci chiediamo come mai le vetrine siano sempre piene di fucili mitragliatori di ogni tipo. Per non parlare poi del mondo dell’usato e dello scambio privato che avviene tra i tiratori della domenica i quali si sbizzarriscono nell’acquisto di armi ultimo modello per far fuoco su dei barattoli. Che male c’è direte? Nessuno; ognuno è libero di trascorrere il tempo libero come vuole o indossare i panni di chi gli pare, il busillis sorge però quando una passione (mai innocua, visti gli incidenti) possa trasformarsi in una potenziale minaccia verso gli altri.

Precisiamo, non è la legge salviniana sulla legittima difesa che farà cessare i furti nelle case, allo stesso modo è sbagliato demonizzare la armi in quanto tali poiché queste sono pezzi di ferro inanimati che abbisognano di un essere umano per funzionare. Quello che più impensierisce è il sentimento di “concessione” di cui si sentiranno investiti migliaia di cittadini desiderosi di puntare una pistola su qualcuno, prendendo la mira magari su qualche immigrato che passava troppo rasente il muro della loro abitazione. Questo è il nodo più intricato giacché può, infatti, sembrare che dietro la legittima difesa alberghi un nesso con le questioni legate all’immigrazione. Effettivamente l’equazione è semplice: più immigrati, più crimini, più armi per difendersi, non fa una piega.

Il secondo punto riguarda i possessori di pistole e fucili, ma per questo occorre un breve riepilogo sull’iter che conduce a prendere la licenza per il porto d’armi. I titolari del primo “step” per ottenere il tesserino giallo sono i TSN o Tiro a Segno Nazionali i quali, dopo un corso di qualche oretta sul maneggio delle armi e una prova d’esame (facilmente superabile) certificano (in modo del tutto aleatorio) che il tiratore sia pronto a non rivolgere il vivo di volata verso gli astanti. Abbinati a questo ci sono gli accertamenti sanitari. A parte un certificato anamnestico rilasciato dal proprio medico curante e una visita “farsesca” condotta da un medico legale (tutte e due con esborso di denaro), la questione ruota intorno al pagamento di bolli e alla presentazione della domanda alla questura. Chiunque non abbia precedenti penali e provenga da una famiglia per bene può assicurarsi il permesso di portare un arma unicamente per la caccia o uso sportivo: bene inteso, per la difesa personale (per ora) le liste sono inaccessibili o limitate a pochi utenti. È fuor di dubbio che questo iter non attesti un bel niente circa le qualità di chi dovrà portare l’arma e non conferisca poteri veggenti su cosa poi con quell’arma si possa fare.

A questo punto la parola passa ai poligoni privati dove i tiratori saggiano davvero le loro abilità da pistoleri con i loro ferri bruniti; all’interno di queste strutture esistono istruttori più o meno capaci che danno il loro imprinting tecnico a chi deve impugnare un’arma. Il poligono rimane il posto migliore e più idoneo al maneggio delle armi, soprattutto se diretto da personale competente e che abbia alle spalle esperienza, magari in campo militare. Parimenti ci sono diverse scuole serie dove preparano all’impiego delle armi nelle varie competizioni sportive con pistola, fucile da precisione o tiro al piattello. Una volta terminata la sessione d’addestramento, il tiratore ripone la sua arma nella custodia e se la porta a casa dove viene custodita in appositi armadi blindati a norma di legge. La legittima difesa offre però l’occasione di tenere – per così dire – l’arma sotto il cuscino e – questo è sicuro – in molti già lo fanno.

Il poligono e i suoi istruttori, per quanto competenti siano, non possono insegnare o prevedere come reagisca un individuo se sfidato nel cuore della notte da presenza ostile. In primo luogo nessuno ha la capacità di valutare la minaccia che si trova di fronte, per lo più al buio, a meno che non sia altamente addestrato e tra i vari “Sunday’s Warrior” nessuno lo è. Esistono i presunti “Corsi per difesa abitativa” la cui valenza è utile per comprendere i limiti legali entro i quali agire in ambito casalingo, ma velleitari nell’insegnare le dinamiche della valutazione e reazione di un pericolo.

La preoccupazione generale – soprattutto gridata dai banchi dell’opposizione – ipotizza un futuro distopico simile alla saga di “The Purge” dove una terrificante “notte del giudizio”, legalizzata dai padri fondatori, autorizzava, in una sola notte dell’anno, a uccidere qualcuno come atto di purificazione. Lasciamo una cosa simile alla fantasia, anche se è tutto molto americano!

Più realisticamente è auspicabile che lo Stato non deleghi ai suoi cittadini in materia di difesa o di ordine pubblico, ma che piuttosto garantisca certezze della pena, punizioni severe e una netta presa di posizione nei confronti di chi ha subito un’offesa. Per questo non serve alcuna legge, è solo buon senso. Sbattere in prima pagina il gioielliere condannato perché ha sparato al rapinatore amplifica il desiderio di diventare “Giustizieri della notte” in barba alle leggi dello stato; condannare un padre di famiglia a risarcire un malvivente perché malmenato mentre tentava di rubare è un boomerang che si ritorce proprio contro chi brama una società disarmata.

Occorre applicare la legge e piuttosto che avvalorare il concetto del “ti posso sparare quando voglio” e affidarsi ad una magistratura che stia in primo luogo dalla parte della vittima, soprattutto se disarmata. A conti fatti non è quello che prevede la legge Salvini? Non proprio poiché in un punto del testo essa invita "a tutelare prioritariamente il diritto dei cittadini vittime di reati a non essere perseguiti e danneggiati (anche economicamente) dallo Stato e dai loro stessi aggressori". Cioè, una legge dello Stato preserva il cittadino da possibili conseguenze del suo gesto anche nei confronti dello Stato stesso? Questo è davvero meritorio di essere inserito in qualche romanzetto di fantapolitica.

Il cittadino in casa sua è al di sopra della legge? Se così fosse allora suggerirei la reintroduzione della pratica del duello per risolvere diatribe personali, così da non affollare le aule di tribunale.

(foto: web / Arma dei Carabinieri)