Festa della Repubblica, collaboratori e collaborazionisti

02/06/19

Alle grida di dolore che recentemente si sono levate dal mondo militare, i vertici politici hanno reagito con un malcelato senso di sopportazione sfociato in una domanda provocatoria: “ma dov'erano questi generali quando erano in servizio?” Prima di svelare un segreto di Pulcinella che si attaglia all'argomento, è da ricordare che a onor del vero nel passato non sono mancate da parte dei vertici militari voci critiche se non di esplicito dissenso; si pensi a Vittorio Santini, Pietro Corsini, Luigi Federici e Goffredo Canino.

A più modesto livello anche chi scrive nel corso della carriera, da tenente a generale, ha criticato i vertici istituzionali, martellando la stampa (Il Giornale, Il Mattino, Il Corriere della Sera, La Stampa, L'Unione Sarda, La Voce e La Nuova Sardegna) con un gran numero di articoli e lettere.

Reazioni? Nessuna... o quasi.

Come spiegarlo? Ecco il segreto di Pulcinella: il destinatario politico della critica di fonte militare finge (o forse trova più conveniente) di non accorgersi se qualcuno canta fuori dal coro. Chiarisco con un esempio: l'8 e il 20 maggio 1991 “Il giornale di Napoli” e “Il Mattino” pubblicarono in successione di tempo uno scritto nel quale il capo di stato maggiore della scuola Truppe Corazzate, colonnello Nicolò Manca, faceva una critica al limite dell'insubordinazione contro la politica militare (erano in carica Cossiga, Andreotti e Rognoni) e, cosa ancora più grave, quello scritto suonava come un sarcastico contro-ordine del giorno contrapposto a quello col quale il Capo di Stato maggiore dell'Esercito aveva esaltato la partecipazione delle forze armate italiane (partecipazione che io invece ridicolizzavo) alla famosa Guerra del Golfo.

Così concludevo il mio pensiero: ”Ciò detto, il mio orgoglio di far parte dell'Esercito Italiano comincia ad accusare, dopo 31 anni di uniforme, durissimi colpi; e se dovessi affermare che scalpito al pensiero di poter diventare generale in questo esercito già ricco di colonnelli e di generali, mentirei”. Poiché ero in valutazione, sputare in quel piatto era una provocazione inaccettabile; eppure non ci fu alcuna reazione, neanche un provvedimento disciplinare. Meglio ignorare la cosa e limitarsi a rinviare sine die la mia eventuale promozione a generale.

Altro esempio: il 26 dicembre di quello stesso anno su “Il Tempo” dissi ancora la mia sui problemi della difesa, contestando il giornalista Andrea Barbato e il ministro Rognoni su alcuni aspetti paradossali riguardanti le retribuzioni militari. Reazioni: nessuna, né in quella occasione né ogni volta che ho criticato, nero su bianco, sia l'operato dei ministri in carica sia il cronico silenzio dei Presidenti della Repubblica-Comandanti Supremi delle Forze Armate in fatto di difesa nazionale.

L'ultimo pezzo scritto da militare in servizio (“La Nuova Sardegna” del 21 giugno 1997) oltre ad essere critico nei confronti del Ministro della Difesa Andreatta (del quale non avevo apprezzato che avesse accettato di stornare 206 miliardi di lire del bilancio Difesa per sovvenzionare quei partiti politici che gli italiani avevano deciso con un referendum plebiscitario di non voler più foraggiare) era un attacco senza sconti verso il mondo politico, al quale contestavo in particolare la proposta di sciogliere la brigata “Folgore” per alcuni strascichi seguiti alla missione in Somalia. Così concludevo quel mio ultimo attacco da militare in servizio: “Sono stufo di questa ennesima campagna contro le Forze Armate, nonché di questa politica e di questi politici … E per sintetizzare in una sola parola il mio giudizio su quanti per vocazione condannano a priori la 'Folgore' e le Forze Armate, non posso che rifarmi a quanto disse il generale Cambronne a Waterloo, il 18 giugno 1815: Merde!”

Questa volta finalmente una reazione ci fu, ma solo da parte del verde Manconi e del mitico Bertinotti che così commentò: “Un generale che parla così anzitutto deve essere messo in galera.” Non finii in galera... ma non si parlò più di sciogliere la “Folgore.”

Dismessa la divisa, nel 2001 raccolsi in un libro la mia esperienza di militare “alla ricerca di un esercito” e nell'attesa lasciai sedimentare le acque fino al 1 giugno 2018, quando il dicastero della difesa fu affidato ad una rappresentante del Movimento 5 stelle. Profeticamente intuii che la mia “ricerca di un esercito” da quel momento si sarebbe rivelata “vana” per cui, inserito questo aggettivo nel titolo del libro pubblicato 17 anni prima e attualizzato il tutto con un capitolo di aggiornamento, mi impelagai masochisticamente in una limitata ristampa del mio lavoro, peraltro già decorato nel 2001 con l'onorificenza “fiorino d'Oro per la narrativa”

Quel che mi interessava era lanciare un appello ai nuovi capi politici perché non barassero dirottando altrove il già misero bilancio della difesa (che avevano già tempestivamente depredato di 500 milioni di euro), fingendo di ignorare i cronici ritardi e le gravi carenze dell'apparato militare, l'urgenza di rivalutare le retribuzioni dei volontari nonché di assicurare il turn-over del personale operativo in età avanzata. A tal fine spedii nella sede ministeriale di via XX settembre copia del libro e mi assicurai che la rassegna stampa militare riportasse la recensione del mio lavoro.

Reazioni? Nessuna, come sempre.

L'impegno del ministro Trenta restò concentrato sull'impiego duale dell'esercito: dalla missione “strade sicure” al controllo dei campi rom, la bitumazione delle strade romane, la creazione di un sindacato militare, la riduzione dei cappellani, l'assistenza ai militari sovrappeso e consimili provvedimenti di portata epocale. Non trascurò inoltre di diffondere l'immagine delle Forze Armate (ma non di armi bensì di pace) operanti all'insegna di peace&love e di una novella “inclusione” ... che non guasta mai, a prescindere.

La sola giustificazione che ipotizzo per questa mancanza di reazioni alle critiche di provenienza militare è che i vertici istituzionali siano circondati da collaboratori che si preoccupano che le voci dissenzienti vengano amplificate nelle rassegne stampa e infastidiscano le orecchie dei responsabili politici della difesa. Se così fosse però i collaboratori in questione sarebbero in realtà dei collaborazionisti, sensibili più ai dictat del partito di appartenenza del ministro di turno che agli interessi dell'istituzione militare.

Ma nell'assistere alla sfilata del 2 giugno in Via dei Fori Imperiali, ho finalmente scacciato dalla mente questi sospetti e mi sono sentito soddisfatto di vivere nell'Italia che sognavo, retta da una classe politica all'altezza dei tempi, e di festeggiare in comunanza di ideali e di intenti con i rom, i sinti e gli immigrati clandestini i valori della nostra Repubblica, della nostra cultura, della nostra civiltà, delle nostre tradizioni cristiane e, perché no, delle nostre Forze Armate nonché della “mia” Brigata “Sassari”, che ho constato con soddisfazione non essere state escluse dalla manifestazione.

Generale Nicolò Manca (già comandante della Brigata Sassari)

P.S. Penso che, tutto sommato, sia positivo che i generali non esternino le loro critiche sugli organi di informazione, perché, con l'aria che tira, se lo facessero tutti i giornali dovrebbero sacrificare quanto meno le pagine dedicate allo sport e ai cruciverba.

Foto: ministero della difesa