Terminato il 36° corso Cocim presso il Centro Alti Studi per la Difesa: alcune considerazioni di sintesi

(di Marco Valerio Verni)
24/09/15

Si è conclusa venerdì scorso, 18 settembre, la trentaseiesima edizione del corso di Cooperazione civile militare – COCIM, organizzata dal Centro Alti Studi per la Difesa: i selezionati partecipanti, tutti di alto profilo curricolare, e provenienti sia dal mondo militare (Esercito, Carabinieri, Aeronautica, Marina Militare, Guardia di Finanza) che civile (Ministeri vari, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco, Corpo Forestale dello Stato, Università, libere professioni, mondo delle associazioni e dell’industria), dopo un periodo di studio “on-line” di cinque settimane, hanno successivamente affrontato la fase “residenziale”, di quattordici giorni, svoltasi nella splendida cornice di Palazzo Salviati, a Roma, al termine della quale sono stati sottoposti al relativo esame finale per conseguire l’'agognato e prestigioso "brevetto".

Tale corso viene ciclicamente organizzato dal Ministero della Difesa con lo scopo di fornire ai frequentatori un quadro aggiornato, appunto, della cooperazione civile-militare, nonché gli ambiti normativi e procedurali vigenti in materia di Difesa civile e militare (si scusi la ripetizione), protezione civile e pianificazione civile d’emergenza, in ambito nazionale, ONU, UE e NATO.

Anche quest’'anno, ciò che è stato posto ancora una volta in evidenza, semmai ce ne fosse stato bisogno - e bisogno ce n'è - è il nuovo modello di difesa del “sistema-Paese” che dovrebbe caratterizzare il modo di ragionare di tutti gli attori (civili e militari) chiamati ad attuarlo, e che dovrebbe basarsi su una cooperazione, appunto, sempre più marcata tra le diverse realtà (istituzionali e non), tutte immancabilmente coinvolte nell'’eventuale risposta alle minacce esterne (ed interne, di varia natura) derivanti alla nazione, anche e soprattutto alla luce della loro molteplicità, complessità e diffusione e dei rischi, davvero di ogni genere, cui esso (“sistema-Paese”) è oggigiorno sottoposto.

Il punto di partenza è naturalmente costituito dalla consapevolezza (che dovrebbe sempre più permeare il modus cogendi et operandi di ogni dirigente e, primariamente, di ogni politico) che la forza di un Paese debba necessariamente dipendere anche dalle capacità di garantire la continuità dell’'azione di governo, la salvaguardia degli interessi vitali dello Stato, la protezione della popolazione e delle capacità economiche, produttive, logistiche e sociali della nazione, in caso di una emergenza o (per quanto possibile) di una crisi, a prescindere dalle cause (umane o naturali) che le abbiano innescate.

Per far ciò, nello scenario multi-tasking odierno, è altresi necessario sempre più non solo abituarsi a “cooperare”, abbattendo le tradizionali barriere tra “mondo militare” e “mondo civile”, ma anche, e soprattutto, a “saper cooperare”, integrando e/o compensando reciprocamente, sempre di più, le capacità decisionali ed operative delle rispettive strutture, nel rispetto delle attribuzioni e dei compiti istituzionali di ciascuno.

Di qui, l’'altra grande esigenza di (continuare a) sviluppare un linguaggio comune, che possa consentire ai diversi attori di affinare le proprie competenze e capacità che, in virtù di quanto detto, si troveranno ad interagire tra di loro in un contesto sempre più orientato al comprehensive approach e ad una attività di problem solving chiamata ad affrontare situazioni che si svolgono in uno scenario in cui anche la linea di confine tra sicurezza interna, sicurezza esterna e Difesa è divenuta nel tempo sempre più labile e nel quale ai protagonisti tradizionali se ne sono venuti ad affiancare ormai altri, con nuovi modelli organizzativi e gestionali e nuove soluzioni tecnologiche.

In tale ottica, l'’auspicio è che questo processo di “simbiosi” tra le varie realtà trovi sempre maggior sviluppo, anche se l’'obiettivo, per quanto ambizioso, non appare affatto facile: da una parte, si tratta di far interloquire insieme una miriade di soggetti, ognuno con le proprie norme di riferimento, le proprie strutture, i propri schemi gestionali ed operativi; dall’altro, riuscire a vincere la naturale diffidenza (per certi versi comprensibile) che, specialmente nel mondo dell'’industria, ancora si ha nel “condividere” il proprio know-how (seppur in contesti ben delimitati), che risponde a logiche diverse da quelle cui è chiamato a rispondere un apparato pubblico. Un grande passo in avanti potrebbe essere costituito dal fatto che, in futuro, sia la stessa Presidenza del Consiglio (per le responsabilità insite nelle sue prerogative, anche e soprattutto in subiecta materia) a “prendersi carico” della questione (e non più solo il Ministero della Difesa, che potrebbe incolpevolmente rischiare di risultare “"vox clamantis in deserto”), affinchè si possa giungere ad una visione veramente d'’insieme di quello che ormai sembra essere il migliore e più moderno approccio per difendere il nostro “sistema-Paese” e, quindi, gli interessi della nostra nazione.