Fincantieri: la Pinotti s'è desta?

(di Damiano Trieste)
21/09/17

La Ministra Pinotti, che era stata fra le prime a gioire pubblicamente alla proposta francese di dare vita a un Airbus Navale, è tornata sul tema Fincantieri-Stx in un’intervista su Repubblica di venerdì 15 settembre. Nel testo pubblicato sul quotidiano, si legge che dopo aver ricevuto una telefonata da qualcuno che le spiegava i rischi concreti dietro la controproposta di Macron per tutto il sistema industriale italiano legato alla Difesa, la Ministra Pinotti abbia deciso d’intervenire nuovamente e pubblicamente nella delicata questione.

Il messaggio della Ministra è stato però disarmante. In estrema sintesi: “bisogna guardare bene prima di firmare”, ma continua la Pinotti, l’operazione appare “probabilmente inevitabile” (chissà perché poi).

E quindi? Qual è la posizione del Dicastero della Difesa? Certamente da mesi i suoi diretti collaboratori, il Direttore Nazionale degli Armamenti (il Generale dell’Aeronautica Magrassi), il Capo di Stato Maggiore della Difesa (Generale degli Alpini Graziano) le avranno preparato memorandum e studi sulle conseguenze di un’assunzione del controllo del ramo Fincantieri militare e forse di Leonardo da parte dei francesi. L’inconsistenza e la tardività delle dichiarazioni della Ministra farebbero purtroppo pensare il contrario. Anche per questo, desta inquietudine scoprire che il Ministro a capo della Difesa Nazionale Italiana abbia bisogno di una telefonata (così dice l’articolo di Repubblica) di un esperto in quella che dovrebbe essere la sua materia, per di più su un argomento di massima attualità, per comprendere la gravità delle scelte imminenti e per dare un segno di vita. Ma questo, per quanto desolante, è lo stato delle cose. Purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, non dobbiamo attenderci alcun intervento concreto da parte della Ministra, per vari motivi. Il primo è che, anche volendo, la Pinotti non ha alcun peso politico. Il secondo è che, a meno di ordini superiori, lei non si schiera. A differenza del Sen. Minniti, lei non “ci mette la faccia”.

In breve non ci si devono attendere interventi in un senso o nell’altro in questa vicenda da parte della Ministra nel consiglio dei Ministri su questo tema, nonostante il destino di Leonardo e di Fincantieri siano fondamentali per la sicurezza nazionale. L’intervista appare infatti più soddisfare un’esigenza d’immagine che altro. Nel caso vincano Bono (amministratore delegato di Fincantieri, ndr) e i Francesi, la Pinotti potrà dire che è stata lei a superare le diffidenze di Calenda (che sembra l’unico ad avere chiaro il pericolo imminente); se dovesse prevalere il buon senso e l’interesse nazionale, potrebbe tentare di rivendicarne il merito, evidenziando come sia stata proprio lei a dire di “guardare per bene” prima di firmare. Con le elezioni vicine, la Pinotti teme verosimilmente l’ira di Bono e al tempo stesso non può passare come il Ministro che ha benedetto, senza battere ciglio, il trasferimento del controllo di Leonardo (ex. Finmeccanica) al gruppo francese Naval Groups/Thales (principale concorrente delle Aziende di Leonardo).

Pinotti a parte, ricordiamo i termini del problema. Siamo partiti per comprare St. Nazaire per eliminare un fastidioso concorrente di Fincantieri per le grandi navi passeggeri, ma siamo finiti a discutere una proposta francese che comporta di farci carico dei debiti del cantiere di St. Nazaire, senza acquisirne la maggioranza della proprietà e in più di cedere il controllo di Fincantieri militare e di Finmeccanica (almeno sistemi d’arma e di comando e controllo) a Naval Groups/Thales.

Vittime di questa soluzione sarebbero i livelli occupazionali di Fincantieri in Italia e di Leonardo. In aggiunta vi sarebbe il danno strategico (anche in termini di sicurezza nazionale) causato dalla trasformazione delle industrie della Difesa italiana in subfornitrici di Naval Groups/Thales, con progressiva perdita della capacità di progettualità autonoma e di tutela della sicurezza del software etc.. Sono esemplari come “memento” i destini di Selenia Spazio e Oto Melara Missili, dopo la fusione con Thales e MBDA.

La sproporzione in termini di fatturato a favore del gruppo francese trasformerebbe inevitabilmente l’operazione, che verrebbe definita per motivi d’immagine un’alleanza, nell’ assorbimento di fatto delle Industrie italiane in un sistema a governance francese. In tal senso peserebbe anche la maggior forza del governo francese rispetto a quello italiano, soprattutto sui temi dell’interesse nazionale e della politica estera. È ad esempio notizia di lunedì 19 che gli appalti vinti dalle Aziende italiane per la ricostruzione dell’Aeroporto di Tripoli siano stati annullati, probabilmente a favore di concorrenti francesi, per fare pressione sull’Italia da parte delle milizie fedeli ad Haftar per riconoscergli un ruolo maggiore a scapito di Al Serraji, mentre le famiglie che controllano Sabrata (che sostengono Al Serraji) hanno allentato il blocco alle partenze degli immigrati, per punire l’Italia delle sue recenti aperture ad Haftar. Non proprio una situazione brillante.

Chi si illude che Naval Groups e Thales, una volta acquisito il controllo del binomio Finmeccanica/Fincantieri militare, facciano gli interessi dell’Italia e dei suoi cittadini si sbaglia di grosso, come il comportamento di Macron sul dossier Libia dovrebbe ricordarci.

Che la Francia prema affinché l’Italia si pieghi è comprensibile. Macron sta tutelando l’interesse nazionale francese. Sta facendo il suo dovere. Meno comprensibile è che sembri remare nella sua stessa direzione l’Amministratore Delegato di Fincantieri, società di proprietà dello Stato italiano.

Viene il sospetto che vi sia una questione, tabù, di “vita o di morte” che sembra impegnare il vertice di Fincantieri in una corsa contro il tempo, prima che dei nodi vengano al pettine.

Quali potrebbero essere questi “nodi”?

Ammettiamo, come puro esercizio mentale, che sia vero che Fincantieri venda sottocosto le Navi Passeggeri, per ottenere il massimo numero di ordini possibili (e i relativi anticipi di pagamento) per compensare, anche se solo in fase transitoria, una grave difficoltà finanziaria del suo bilancio.

Ipotizziamo quindi che i “construction loans” (i prestiti ottenuti dalle banche a fronte di nuovi ordini, necessari per acquisire equipaggiamenti, acciaio etc. per le nuove costruzioni) vengano iscritti nell’attivo e non nelle passività (come prescriverebbe la normativa europea). In questo caso, invece di vantare trionfalmente un bilancio positivo, Fincantieri sarebbe pesantemente in rosso, secondo alcuni per circa 1 Mld. €. Si tratterebbe di quello che gli americani chiamano un Ponzi’s Scheme (https://it.wikipedia.org/wiki/Schema_Ponzi). Una specie di catena di S. Antonio che regge finché le perdite dovute alla consegna delle navi finite non superano l’ammontare degli acconti per le navi in ordine (senza considerare la questione della correttezza del Bilancio sotto il profilo legale).

Se questa ipotesi fosse vera, la situazione si andrebbe aggravando a ogni consegna di nave ai clienti, perché avverrebbe in perdita, senza contare eventuali conseguenze economiche per contenziosi per ritardi o difetti riscontrati alla consegna, che rischierebbero di far saltare il “sistema” prematuramente.

Il quadro è aggravato dalle difficoltà in cui navigano i cantieri VARD, imprudentemente acquistati di recente da Fincantieri, nonostante fosse evidente l’imminente riduzione della domanda di navi specializzate in “oil and gas” per il previsto (e avvenuto) raggiungimento dell’autosufficienza energetica degli Stati Uniti. Per evitarne il collasso Fincantieri è costretta a dirottare su VARD, commesse di navi passeggeri, la cui taglia rientrerebbe pienamente nelle potenzialità degli stabilimenti di Fincantieri in Italia.

Troverebbe così spiegazione la tempestosa uscita di scena del Direttore Generale di Fincantieri, Ing. Mangoni, dopo solo 8 mesi dalla nomina, compensata con 3,5 milioni €; davvero tanti per un periodo così breve. Potrebbero essere quindi vere le voci che circolarono all’epoca che attribuivano lo scontro con Bono al rifiuto del nuovo Direttore Generale di sottoscrivere il bilancio di Fincantieri? Se queste ipotesi fossero vere, si comprenderebbe meglio la fretta di Bono. Sarebbe seduto su una bomba a orologeria e con lui Cassa Depositi e Prestiti. Ogni nave consegnata avvicinerebbe Fincantieri al default a meno di non riuscire rimescolare il quadro delle identità industriali in un nuovo soggetto internazionale, nel cui ambito nessuno avrebbe la possibilità di sbrogliare l’intricata matassa dei conti di Bono.

Ecco perché i francesi sono così spavaldi. Sanno che Fincantieri si darebbe fuoco pur di chiudere l’affare. Costi quel che costi all’Italia.

Basterebbe un rallentamento del mercato e Fincantieri si sgretolerebbe, novella Parmalat, come un colosso dai piedi d’argilla e con esso finirebbe travolto anche il piccolo re calabrese. Dopo essere sopravvissuto all’Efim e a Finmeccanica, Bono potrebbe salvarsi di nuovo abbandonando la nave prima che affondi, saltando su una nuova poltrona.

L’importante e fare presto, poco importa se a costo di sacrificare Fincantieri, di consegnare ai “fraterni amici” d’oltralpe il controllo delle ultime grandi Imprese Italiane della Difesa e soprattutto le “chiavi” della sicurezza nazionale del nostro povero Paese.

Il momento è propizio. Le elezioni sono vicine e siamo al si salvi chi può, ognun per sé etc. etc...

(foto: ministero della Difesa)