L’operatività dell’arma dei carabinieri all’estero

15/05/14

L’arma dei carabinieri è leader nel mantenimento della pace e nelle missioni di cooperazione internazionale. La sua presenza in vari teatri operativi l’ha resa un punto di riferimento per gli stati che si stanno rialzando da lunghi periodi di guerre e crisi.

Per cercare di capire meglio come operano i carabinieri all'estero abbiamo incontrato il colonnello Cristiano Desideri, capo della sezione operazioni correnti dell’Arma.

Colonnello Desideri lei appartiene all'ufficio piani e polizia militare incardinato all'interno del II reparto “impiego delle forze”, ed è il capo della sezione operazioni correnti dell’arma dei carabinieri. Di cosa di occupa esattamente il suo ufficio?

<Sostanzialmente l’ufficio piani e polizia militare del Comando Generale ha il compito di gestire tutte quelle materie che sono prettamente legate alla veste militare dell’Arma; quindi a tutti quegli aspetti connessi alla partecipazione dell’Arma alle operazioni miliari all'estero unitamente alle altre forze armate, ed è elemento di sviluppo della dottrina militare per quanto riguarda la parte di competenza dell’Arma. Inoltre gestisce tutti quei programmi di cooperazione bilaterale o multilaterale che vedono l’Arma coinvolta sempre relativamente all’impiego militare estero come ad esempio il Coespu, che è il Center of Excellence for Stability Police Units che ha sede a Vicenza e siamo il centro nodale per EGF, European Gendarmerie Force. Oltre a ciò un’altra sezione di questo ufficio gestisce anche i programmi di cooperazione che nascono dai rapporti diplomatici tra l’Italia e gli altri paesi. Questo è in sostanza il nostro compito. Io in particolare, come capo della seconda sezione chiamata “Operazioni Militari Correnti”, gestisco il quotidiano delle missioni, ossia tutte quelle problematiche e aspetti connessi alla partecipazione attiva dei contingenti dell’Arma che vanno quindi dall'attività di service enforce providing, cioè il reperimento del personale adatto per l’impiego in determinate missioni, passando poi alla loro immissione in teatro operativo, fino ad arrivare agli aspetti operativi veri e propri che ruotano intorno alle missioni.>

Cosa si intende per "polizia militare"?

<Polizia militare è una serie di attività volte a garantire le condizioni generali di ordine e sicurezza pubblica delle forze armate italiane sul territorio nazionale ed estero. Quindi sostanzialmente le unità, i nuclei, di polizia militare schierati presso le grandi unità delle forze armate debbono sostenere l’azione del comandante di corpo nella prevenzione dei reati commessi all’interno delle strutture militari, o a danno delle strutture militari anche da parte di soggetti terzi; questo perché la peculiarità dei compiti di polizia militare dell’arma è che allo stesso tempo, stante la normativa attuale che individua due codici, che sono il c.p.m.p e c.p.m.g. (Codice penale militare di pace e Codice penale militare di guerra, ndr) ed il codice penale ordinario, l’Arma può procedere in ambo i campi applicativi. Quindi, relativamente al ruolo di polizia militare, l’Arma svolge compiti di polizia preventiva nei confronti delle installazioni e attività operative militari, ma naturalmente svolge anche compiti di contrasto ad eventuali reati ordinari commessi da militari, o ai danni della struttura militare in caso di attività di controinsorgenza. Tutto ciò al fine di garantire l’ordinato svolgimento della vita all'interno di comunità militari e consentire al comandante di corpo di operare efficacemente.>

L’arma dei carabinieri è coinvolta i missioni internazionali da moltissimo tempo. La prima esperienza risale al 1854 in Crimea. Ad oggi, qual è l’intensità dell’impegno dell’Arma nelle missioni fuori area?

<Allo stato attuale l’impegno numerico non è elevato quanto lo era circa 6-7 anni fa, quindi fino a Enduring freedom, quando contestualmente l’Arma esprimeva oltre 1000 uomini al giorno impegnati in operazioni. Poiché lo scenario Iraq è chiuso dal dicembre 2012 e l’Afghanistan sta subendo una contrazione significativa dell’impegno internazionale nell’ottica di cedere la mano al popolo afghano in quel processo di institution rebuilding e di autodeterminazione operativa, possiamo dire che sostanzialmente l’Arma, ad oggi, impegna circa 350 uomini al giorno.>

Quali sono i compiti svolti dai carabinieri nei contesti dove questi sono operativi?

<Andando per macro obiettivi gli impegni principali sono sempre più finalizzati verso le varie forme di addestramento rivolte alle varie forze di sicurezze e di polizia dei paesi collassati, attività di polizia militare, quindi protezione dei vari contingenti militari e poi partecipazione in missioni di monitoring sotto varie bandiere, UE, N.U. o NATO.>

Colonnello Desideri, l’arma dei carabinieri è presente con i suoi uomini in vari teatri operativi particolarmente delicati. Uno di questi, in cui i carabinieri sono presenti da tempo, è l’area balcanica. Qual è l’attuale situazione della missione?

<Nell’area balcanica l’Arma è presente con un reggimento, l’ultimo reggimento MSU, che ha sede a Pristina e che in questo momento particolare della vita del paese, il quale sta sempre di più cercando di raggiungere quell’ottimale livello di democraticità e di soluzione dei conflitti interetnici fra la componente albanese e quella di origine serba, l’impegno del reggimento è particolarmente concentrato nell’area di Mitrovica. Questa è un area particolarmente sensibile, a nord del paese, in quanto lì da sempre è stato particolarmente elevato il livello di tensione tra le due etnie. La nostra presenza, mediante attività di pattugliamento e di controllo degli obiettivi sensibili della città che si identificano nei due grandi ponti che separano le due comunità, chiamati ponte di Austerlitz e ponte di Cambròn, costituisce di fatto una forza di equilibrio e interposizione volta a garantire un ordinato svolgimento della vita democratica.>

In questo contesto come sono visti i carabinieri dalla popolazione?

<Il lavoro dell’Arma dal 1999, cioè da dopo la crisi che ha portato ai bombardamenti della NATO e all'arrivo delle forze convenzionali terresti è sempre stato ottimale. Ovviamente abbiamo avuto varie fasi storiche dovute ai vari livelli di tensione locale, ma ad oggi il lavoro dell’Arma in seno a KFOR è assolutamente apprezzato cosi come tutto l’impegno di KFOR in generale. Questo perché viene percepita come una forza militare di interposizione e non di occupazione. Dunque, siccome il ruolo è assolutamente di ausilio e di appoggio alle ormai operative forze di polizie locali, non viene avvertita in maniera negativa. Anzi, il feedback è assolutamente positivo e possiamo anche dire che nel momento in cui la NATO paventa la possibilità di un ritiro degli assetti militari operativi si manifestano subito delle tensioni sociali, quasi a richiamare l’attenzione della NATO sulla necessità di rimanere ancora sul terreno.>

Dai Balcani spostiamoci al Nord Africa, precisamente in Libia. La caduta di Gheddafi nel 2011 ha creato un vuoto all’interno del settore sicurezza che è l’evento naturale quando cade un dittatore che ha governato per oltre quarant’anni. L’Italia è stata chiamata a rispondere alla forte domanda di sicurezza avanzata dalla Libia e lo ha fatto attraverso i carabinieri, i quali sono esposti anche a dei rischi derivanti dall'assenza di accordi scritti o di un Memorandum of Understanding. In che modo, dunque, l’Arma opera in Libia?

<In Libia l’Italia è impegnata da un anno con una missione bilaterale chiamata Missione Militare Italiana in Libia (MIL). Questa è una missione di cooperazione militare il cui comando strategico è di SMD (Stato Maggiore Difesa, ndr) e l’OPCON (Controllo Operativo, ndr) è esecitato dal COI (Comando operativo di Vertice Interforze, ndr). L’Arma schiera all’interno di questa missione una "Training Unit" di trenta unità. Queste hanno il compito di condurre corsi in favore delle forze di polizia di quel paese. Allo stato attuale è un paese che ha deciso di avvicinarsi ad un modello di polizia italiano, quindi c’è una forza di polizia ad ordinamento civile, dipendente dal ministero dell’interno, ed una forza di polizia ad ordinamento militare chiamata "Border Guard", dipendente dal ministero della difesa. Oltre a ciò si stanno anche creando delle specialità di polizia come il "Gruppo Speciale Aviotrasportato" della polizia ad ordinamento civile, che è stato voluto dai libici un po' sul modello dei "Cacciatori di Calabria" dell’Arma, e quindi una forza di polizia con una preparazione militare associata ad un elevato grado di flessibilità per poter essere schierata rapidamente con elicotteri o aerei in varie parti del Paese. In più stanno costituendo una polizia diplomatica ed una polizia turistica specializzate, la prima, nella protezione delle sedi istituzionali e delle sedi diplomatiche estere e, la seconda, nella protezione del patrimonio culturale. In tutto questo il compito della Trainign Unit dei carabinieri è quello di ricevere, mediante un ufficiale di collegamento, le varie domande formative ed elaborare un "sillabus", cioè un programma didattico, da sottoporre all’approvazione del COI e di SMD. Una volta che questi programmi vengono approvati la Training Unit li sviluppa in stretto contatto con il Comando Generale e con la II brigata mobile dell’Arma, che forniscono una consulenza tecnico funzionale. Questa è sostanzialmente la chain of command che lega il personale. Al momento attuale noi svolgiamo corsi. Abbiamo addestrato circa un migliaio di agenti e abbiamo corsi programmati fino a fine giugno, periodo di Ramadan. Nel mese di Maggio verrà effettuata la pianificazione dei corsi fino al secondo semestre. Questo è il modello di addestramento standard elaborato dopo l’esperienza irachena. Quindi si addestrano prima i quadri direttivi delle forze di sicurezza, poi attraverso il modello T3, “Train the trainers”, si estrapolano i migliori per farli diventare istruttori in modo tale che, in proiezione, non si crea mai un asservimento della host nation nei confronti della forza dedicata all’addestramento, ma la si emancipa preparando i loro futuri addestratori rimanendo comunque in contatto con loro non più con funzioni di training ma bensì di advising, cioè di consulenza ad un livello più elevato. L’obiettivo finale è quello di arrivare al modello T5 “train the trainers who train the trainers”, cioè creare gli addestratori che addestreranno altri addestratori. Per quanto riguarda i rischi la Libia è un paese dove, a seguito della rivoluzione civile, le cd. forze paramilitari denominate katibe hanno un controllo parziale di molte aree del Paese. Precisiamo che la MIL è stanziata su Tripoli e Tripoli rispetto ad altre aree del paese presenta da un lato meno problemi, da un altro lato, essendo il cuore politico del paese, è soggetto ad azioni dimostrative di queste katibe che non perdono mai l’occasione per richiamare l’attenzione sulla loro forza militare e quindi sulla volontà di affermarsi come interlocutore; questo al fine di ottenere risorse economiche o inquadramento all’interno dei ranghi del nuovo establishment militare o di polizia. Questa è sostanzialmente la grossa criticità.>

Molto interessante è la funzione di polizia scientifica svolta dai carabinieri in Libano. In cosa consiste questa attività?

<Più che polizia scientifica in seno alla missione Unifil è presente, presso il quartier generale di Naqura, una squadra chiamata in gergo S.I.S., Special Investigation Section, cha ha compiti di repertamento di primo grado, cioè una pseudo capacità C.S.I. Ovverosia, qualora le attività di indagine condotte, sia dalla polizia militare nazionale che ha sede a Shama, sia dalle compagnie di polizia militare internazionale presenti all’interno del dispositivo, che sono tanzaniane, sono rivolte verso fatti di reato per i quali si necessità una capacità tecnica, questa sezione, che è composta da sottufficiali che provengono dai nuclei investigativi dell’Arma, ha una capacità di repertamento di primo grado. In seno a Unifil siamo l’unica componente che ha questo grado di specialità.>

L’Afghanistan è reduce dalle elezioni presidenziali che si sono svolte il 5 aprile scorso ma che tuttavia non hanno portato alla elezione del nuovo presidente rendendo necessario un ballottaggio tra i due principali candidati che si svolgerà a fine maggio. Entrambi hanno comunque sottolineato la loro volontà di mantenere anche dopo dicembre 2014 una forza multinazionale che continui a presidiare la situazione nel Paese. In che modo l’arma dei carabinieri ha contribuito a garantire il regolare svolgimento delle elezione e come prevede l’impegno in Afghanistan dopo dicembre 2014?

<I nostri PAT, Police Advisory Teams, hanno svolto in Herat a favore del comando regionale e provinciale della polizia dei corsi al fine di elevare e sostenere professionalmente queste forze di polizia secondo tecniche di natura occidentale. Oltre a ciò abbiamo schierato all’interno dei PAT due marescialli di sesso femminile per coadiuvare le colleghe afghane nelle tecniche di perquisizione personale e nelle tecniche di controllo atte a prevenire ipotesi di suicide bomber che si sarebbero potute avere avvalendosi dei costumi che consentono, con l’uso dei burqua o chador, di poter occultare ordigni esplosivi. Per quanto riguarda il futuro impegno in area questo è tutto da determinarsi. In questi giorni si sta discutendo proprio del futuro dell’Afghanistan da un punto di vista di pianificazione dell’impegno nazionale. Questo perché qualora si debba prevedere uno scenario oltre il 31 dicembre 2014 la missione ISAF verrà sostituita da un’altra missione denominata Resolute Support Mission. Una missione che per poter operare avrà bisogno di due presupposti giuridici fondamentali che sono: un Bilateral Security Agreement ed un SOFA, Status of Force Agreement, che disciplini e giustifichi la presenza delle forze della NATO su territorio afghano. Questo è tanto più rilevante come presupposto se avremo un interlocutore politico che ha questa volontà. Oltretutto la NATO è fortemente condizionata dalle decisioni di tutti i membri dell’alleanza, quindi ad oggi non c’è una visione estremamente chiara. Qualora ci venga chiesto di continuare a sviluppare programmi noi, in aderenza alle direttive del ministro della difesa e del capo di stato maggiore della difesa, metteremo a disposizione i nostri assetti per quello che sarà il futuro. Da parte nostra c’è la totale disponibilità e capacità a continuare ad operare verso una missione che sarà sempre più concentrata verso l’advising ed il tutoring.>

Colonnello, l’arma dei carabinieri è presa come esempio per strutturare le forze di polizia di stati che stanno ricostruendo il proprio tessuto sociale e politico. In che modo l’Arma è considerata sul piano internazionale?

<L’Arma gode di un alto livello di considerazione sul piano internazionale. La capacità di poter essere in maniera flessibile allo stesso tempo una forza di polizia, quindi con tutti quelli che sono i compiti di community policing, però svolta da uomini e donne che hanno un adeguato grado di preparazione militare, e quindi capacità di operare in ambienti non permissivi, semi permissivi o permissivi, fa sì che ci sia questo elevato background professionale e militare che ne consente anche l’esportazione, a volte non facile, là dove sei chiamato in tempi rapidi a portare uno sforzo all'esterno. Questo è stato il modello preso come riferimento fin dall’esperienza balcanica con la prima MSU, quando la MSU in Bosnia e la MSU in Kosovo svolsero anche per un certo periodo di tempo compiti di polizia di sostituzione. Quindi là dove non c’era più un tessuto connettivo efficace le MSU, in Kosovo, arrivarono a sostituire le forze di polizia locale con compiti esecutivi di polizia giudiziaria e financo gestione delle carceri. Dopodiché l’esperienza irachena, che è stata molto più frontale e concentrata sull'addestramento, ha conclamato questi risultati che sono stati poi la base per lo sviluppo dell’esperienza afghana. Questa si è consumata su due fronti: l’insegnamento frontale mediante i centri di addestramento che l’Arma ha gestito a Kabul, Herat e Adraskan fino a giugno dell’anno scorso; e poi, in Herat, attività di advice e mentoring, quindi consulenza a livello più ampio svolta dai police advisory teams, ancora schierati a Herat. Questi opereranno fino a quando la missione ISAF rimarrà sul terreno.>

Colonnello Desideri quali sono i reparti dell’Arma che vengono inviati all'estero e chi sono i carabinieri, uomini e donne, che vengono scelti per queste missioni?

<L’impiego del personale in missione è estremamente flessibile. Noi abbiamo una grande unità di riferimento da cui attingere che è la II Brigata mobile. Questa è una grande unità che ha sede a Livorno ed è costituita da tre reggimenti chiamati "reggimenti di proiezione" che sono rispettivamente il I reggimento paracadutisti, il VII reggimento Trentino Alto Adige ed il XIII reggimento Friuli Venezia – Giulia. Queste sono forze prontamente disponibili, tutte composte da personale altamente motivato e che ha una preparazione specifica nell’impiego fuori area. Il personale segue un addestramento extra rispetto al normale militare. Una volta arrivato a reparto viene preparato proprio per condurre tutte le ipotesi di missioni che possono essere svolte dall’Arma fuori area; dai compiti di polizia militare, ai compiti di addestramento passando ai compiti di consulenza. Ovviamente in base al tipo di missione si fanno delle deroghe. Le deroghe sono strettamente connesse a quelli che sono gli skills professionali che vengono richiesti dalla figura professionale che dobbiamo impiegare. La missione può richiedere per esempio addestratori (Libia), oppure personale con specifica capacità di polizia tecnica (Libano), oppure ancora osservatori (Georgia, EUTM Somalia o EULEX). Abbiamo quindi questo bacino dai cui attingere in maniera prioritaria ma, a seconda della missione, abbiamo un basket estremamente vario del personale di tutti i gradi che, o in ragione delle pregresse esperienze, o per preparazione culturale, sono idonei. Questo personale viene tutto contattato su base volontaria e quindi in base ai parametri che ci servono noi selezioniamo i potenziali candidati che dovranno dare la loro disponibilità per il loro impiego estero.>

Il momento economico che l’Italia, insieme all’Europa sta vivendo è particolarmente delicato. Si paventano importanti tagli che andranno inevitabilmente a ridimensionare anche l’intero assetto del settore difesa. Quanto incideranno questi tagli sulle missioni internazionali attuali e future?

<La situazione finanziaria degli ultimi anni ha imposto all'Italia un radicale mutamento di conduzione del proprio impegno internazionale. Ciò significa che mentre prima l’Italia aveva una legge di finanziamento delle missioni fuori area di base annuale ora, per ragioni congiunturali, questo decreto è stato ridotto a sei mesi; quindi di fatto significa che è proprio la condizione di disponibilità finanziaria del paese che detta il ritmo della partecipazione alle missioni. Ciò significa che una volta che il governo decide quanto stanziare per la partecipazione alle missioni fuori area, a quel punto SMD è costretto ad operare delle razionalizzazioni della propria capacità.>

In una visione strategicamente prospettica del ruolo dell’Italia all'interno della comunità internazionale e delle missioni di cooperazione come vede l’arma dei carabinieri?

<L’Italia è stato un paese che ha sempre sostenuto tutti gli sforzi della NATO e della UE in quello che è il ruolo che l’Europa si vuole ritagliare di pacificatore e quindi di sostegno alle aree di crisi. Quello che possiamo dire è ciò che noi stiamo vedendo giorno dopo giorno; come sta cambiando il ruolo e l’impegno della nostra istituzione. L’asse delle aree di crisi si sta spostando; dall'area balcanica e dall'area mediorientale ci siamo spostati, negli ultimi dieci anni, nell'area del vicino oriente per poi nuovamente tornare indietro e destinarci a quella che è sempre di più l’area di proiezione degli sforzi che sarà il continente africano, il quale a seguito delle varie situazioni locali sta subendo un progressivo processo di avvicinamento alla NATO e alla UE proprio per ottenere un aiuto e per rialzarsi da questa situazione.>

Appare evidente come l’Arma costituisca un pezzo d’Italia che funziona e che viene apprezzato e preso come esempio all’estero. Uomini e donne che, in giro per il mondo, mettono la loro professionalità ed il loro impegno al servizio della collettività internazionale al fine di esportare quello che di buono il nostro Paese ha da offrire.

Un esempio per tutti in un momento molto delicato che vede il nostro stesso senso di appartenenza alla Nazione particolarmente fragile.

Andrea Strippoli Lanternini