Intervista esclusiva al professor Shaul Shay, già vice capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele

(di Maria Grazia Labellarte)
23/01/17

Il professor Shaul Shay (colonnello della Riserva delle Israel Defense Forces) è stato vice capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele e direttore della Ricerca dell’ICT (International Institute For Counter-Terrorism) a Herzliya in Israele. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in merito all’uscita del suo nuovo libro, intitolato “Israel and Terror Abductions (1986 – 2016)”. Nello stesso viene affrontato il difficile tema dei rapimenti sia di civili che di militari in Israele da parte delle diverse organizzazioni terroristiche e la difficile contrattazione per il rilascio.

Professor Shay il primo gennaio è uscito il suo nuovo libro intitolato “Israel and Terror Abductions (1986–2016)” pubblicato dalla casa editrice Sussex-academic e disponibile in lingua inglese su Amazon. Essenzialmente il libro affronta la difficile tematica delle sfide che i gruppi islamici terroristici pongono e la risposta di Israele ai rapimenti realizzati dal partito politico Hezbollah (1983- 2016) e Hamas (1989- 2016). Quali sarebbero queste sfide?

La questione del rilascio e/o ritorno di prigionieri di guerra israeliani, dei militari e ostaggi è una delle questioni più delicate affrontate dalla società israeliana e dalla sua leadership. La sensibilità a questo proposito deriva da diversi valori principali, tra cui quello della vita umana e la libertà personale agli occhi della nostra società; l'aspetto religioso, vale a dire l'obbligo di riscattare i prigionieri; l'importanza religiosa e morale attribuita alla restituzione dei corpi di civili e di soldati per la sepoltura ebraica; l'obbligo morale da parte dello Stato di preservare la vita e la sicurezza dei suoi cittadini; l'obbligo di proteggere i soldati dell'IDF ed i membri delle forze di sicurezza che agiscono per conto dello Stato di Israele e cadono prigionieri nelle mani del nemico. Il principio del ritorno dei prigionieri di guerra, del personale IDF rapito e dei caduti, è ritenuto sacrosanto già dal 1948.

Nei primi decenni della sua esistenza, Israele ha fatto scambi con i suoi nemici arabi, previsti dalle Convenzioni di Ginevra, in seguito alla cessazione di ogni guerra. Tuttavia, le regole del gioco sono cambiate. Molti dei nemici di Israele sono attori non statali come Hezbollah e Hamas. Queste organizzazioni operano al di fuori del quadro giuridico delle leggi di guerra, di routine con crimini di guerra come attacchi indiscriminati (deliberate azioni contro i civili in quanto tali) e di perfidia (travestendo miliziani con abiti civili).

Quando Israele rende possibile lo scambio dei prigionieri è naturale, per i suoi nemici, vedere il rapimento di israeliani e la violazione dei relativi diritti in cattività, come un'attività estremamente redditizia. Per le organizzazioni terroristiche i soldati israeliani rapiti e i civili sono merce di scambio di alto valore e relativamente a buon mercato per portare a casa i propri terroristi detenuti nelle carceri israeliane.

I rapimenti costituiscono un elemento centrale nel "repertorio offensivo" di un gruppo terroristico? Cosa ci guadagnano?

Nel 1980 Hezbollah ha iniziato a rapire e tenere in ostaggio occidentali al fine di contrattare per il rilascio di sciiti tenuti nelle carceri israeliane o di altri Stati. Hezbollah ha trasformato così il rapimento di ostaggi in uno strumento di contrattazione centrale per raggiungere obiettivi politici e militari stabiliti dall'organizzazione e dai suoi clienti in Iran.Tra il 1982 e il 1988, ci sono stati circa sessantasette rapimenti in Libano, Hezbollah è stato responsabile per cinquantacinque di questi.

Elemento chiave della contesa, nel conflitto prolungato tra Hezbollah e Israele, è la questione dei prigionieri. Hezbollah ha afferrato la sensibilità della società israeliana e dei suoi decisori, nei confronti dei suoi civili e militari. Pertanto, il rapimento di soldati è diventato un obiettivo centrale all'interno del modus operandi dell'organizzazione. Gli ostaggi sono diventati una "risorsa strategica", che sfrutta l'organizzazione per promuovere i propri obiettivi nel conflitto con Israele e di rafforzare la sua posizione in Libano e nel mondo arabo.

I rapimenti di israeliani ebbero il loro inizio alla fine degli anni '60 come tentativi di riscatto di prigionieri. Il 17 aprile di ogni anno, i palestinesi commemorano il "Prisoners Day". Data l'importanza dei prigionieri per la società palestinese, non c'è dubbio che il rapimento di un soldato israeliano sia di valore strategico per tutte le organizzazioni terroristiche palestinesi. Da quando il Movimento di Resistenza Islamico (Hamas) è stato fondato nel 1987, il movimento ha rapito più di 20 soldati e coloni israeliani, ma non tutti hanno raggiunto la fase di realizzazione di un accordo di scambio. Sembra che nel corso degli anni Hamas sia stato sistematicamente impegnato in attività di sequestro. Questo migliorando e affinando i suoi aspetti operativi in ​​virtù delle lezioni apprese dai rapimenti reali e tentati, investendo per introdurre questa dottrina di combattimento nella coscienza degli attivisti e motivarli ad agire in caso di necessità. Hamas ha pubblicato diverse versioni di "Manuali da campo per il sequestro di persona" che forniscono informazioni pratiche e dottrinali. Il testo dimostra ampiamente il rapimento di israeliani come mezzo per assicurare il rilascio dei prigionieri palestinesi dalle carceri.

Qual è la risposta di Israele ai rapimenti?

Come regola generale, quando Israele ha avuto la possibilità di rilasciare gli ostaggi o prigionieri attraverso un'operazione militare senza cedere alle richieste dei terroristi, i decisori hanno preferito questa alternativa. In altri casi, quando un’operazione militare non era un'opzione, Israele in generale ha dimostrato flessibilità (lett. una "politica flessibile", ndr) e si è adoperato per ottenere il rilascio degli ostaggi tramite trattative, assecondando le richieste delle organizzazioni terroristiche parzialmente o completamente.

Nel mese di ottobre 2011, quando il primo ministro Binjamin Netanyahu ha spiegato come abbia potuto firmare l'accordo che ha segnato un nuovo record nell'acquiescenza ad una organizzazione terroristica - la liberazione di 1.027 prigionieri, molti dei quali con "le mani insanguinate" di sangue israeliano (contro la liberazione di un ostaggio militare israeliano) ebbe a dire "Non abbiamo avuto scelta."

Netanyahu sarebbe stato felice di provare a salvare il prigioniero israeliano Gilad Shalit con un'operazione militare, ma l'intelligence non riuscì ad individuarlo. Alla fine, il dilemma era se lasciare Shalit a marcire in una fossa di un carcere di Hamas o prendere una decisione coraggiosa. Questo è ciò che Netanyahu ha fatto. Quando Israele ha accettato le condizioni per lo scambio di Gilad Shalit, il primo ministro Benjamin Netanyahu, durante un consiglio dei ministri, ha attribuito l'asimmetria dei numeri agli insegnamenti etici del giudaismo: "La nazione di Israele è un unico popolo".

I terroristi una volta rileasciati, ritornano all’attività terroristica?

La risposta è che la più preoccupante conseguenza a lungo termine di tali scambi è che molti dei terroristi rilasciati ritornano a commettere attacchi ed azioni connesse. Ma questa è solo una parte del problema.

Per quanto concerne gli ostaggi, è pacifico che le concessioni abbiano incoraggiato azioni aggiuntive dovute alla ricchezza dei riscatti. Se, piuttosto, i terroristi sapessero in anticipo che non hanno nulla da guadagnare da un sequestro a causa di una decisa posizione governativa, non si rapirebbe più nessuno. Molti governi - tra cui gli Stati Uniti - infatti, hanno adottato una politica di fermezza nella speranza di ridurre la presa di ostaggi.

Rilasciando terroristi condannati si mina il sistema penale. È ingiusto liberare individui che hanno commesso gravi crimini prima che essi abbiano scontato la pena. In aggiunta, tali rilasci possono rassicurare i terroristi che stanno pianificando attacchi, in quanto possono sperare, se catturati e condannati, di essere scambiati con israeliani rapiti.

Israele potrebbe potenzialmente dichiarare che d'ora in poi, non ci saranno più negoziati. Il problema è che questo è più facile a dirsi che a farsi, e il governo avrà difficoltà a spiegare alla famiglia del prossimo soldato perché non è disposto a negoziare il rilascio del figlio. Non c'è una risposta facile, ma visto l'avvertimento dell'intelligence israeliana di un'accresciuta motivazione tra i gruppi terroristici a rapire soldati, è necessaria una politica chiara.

Il 12 giugno del 2014 tre adolescenti israeliani rapiti sono stati uccisi, i corpi sono stati ritrovati il 30 giugno. Il sei giugno del 2015 Hussam Qawasmeh, un membro di Hamas è strato arrestato per l’omicidio e condannato a pagare 63.000 dollari come risarcimento alle famiglie delle vittime. Professore, come mai i tre giovani sono stati uccisi quando, con uno scambio, i rapitori avrebbero potuto ottenere il rilascio di altri prigionieri palestinesi?

Naftali Fraenkel e Gilad Shaar, entrambi sedicenni, e Eyal Yifrach, di 19, sono stati rapiti 12 giugno 2014, mentre facevano l’autostop per tornare a casa dalle loro scuole religiose in Cisgiordania. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incolpò da subito Hamas per il rapimento dei tre ragazzi. Un portavoce di Hamas a Gaza, rispose prontamente che i commenti di Netanyahu che attribuivano a loro la colpa erano "stupidi e privi di fondamento". Pertanto non vi fu alcuna trattativa con Hamas.

Dopo una ricerca durata 18 giorni, i corpi furono trovati sepolti sotto macerie in un campo non lontano dal punto del rapimento. La polizia israeliana sostiene che, probabilmente, sono stati uccisi entro pochi minuti.

Dopo il ritrovamento Saleh Arouri, un dirigente di Hamas, durante una conferenza in Turchia, commentò che l’ala militare del gruppo era dietro "l'eroica azione". "È stata un’operazione dei vostri fratelli delle Brigate al-Qassam", sostenne Arouri, aggiungendo che Hamas sperava tuttavia di utilizzare i ragazzi israeliani per uno scambio con palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Dopo la morte dei rapitori, Salah Bardawil, un portavoce di Hamas a Gaza, dichiarò che il gruppo "piangeva i due martiri... assassinati dai sionisti". Disse inoltre che l'uccisione dei due palestinesi non sarebbe avvenuta senza l'appoggio delle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese in Cisgiordania, aiuto che Hamas deplorò in quanto collaborazione col nemico.

Il giro di vite di Israele in Cisgiordania ha sollevato voci di una punizione collettiva con migliaia di case perquisite, 400 palestinesi - tra cui molti leader di Hamas - arrestati e cinque uccisi mentre lanciavano pietre o affrontavano i soldati.

Le forze israeliane il 23 settembre 2014 hanno sparato ed ucciso due operativi di Hamas sospettati del rapimento e dell'uccisione di tre adolescenti israeliani nel Giugno 2014. Un altro membro di Hamas, Hussam Kawasmeh, zio di Marwan Kawasmeh, è ​​stato accusato da Israele nel settembre 2014, di aver organizzato e finanziato il rapimento.

(foto: Israel Defense Forces)