Intervista all’ambasciatore dell’Ucraina in Italia. Oltre ad Al Bano c’è di più…

(di David Rossi)
23/03/19

"Gli ultimi quattro anni non sono stati anni facili per tutti noi. Per essere sinceri, sono stati anni di prove serie: sembrava che stessimo affrontando un gran numero di problemi semplicemente irrisolvibili. Ma la nostra gente ha dimostrato le proprie migliori qualità come patrioti e cittadini durante questi momenti critici, riunendosi nella lotta per garantire l'integrità territoriale del Paese e mantenere unita la nostra terra, creando una base per la crescita futura attraverso il loro lavoro. Insieme abbiamo raggiunto molto e lo abbiamo raggiunto attraverso i nostri soli sforzi. Abbiamo superato un difficile confronto identitario e stiamo gradualmente forgiando una nazione veramente unita. Siamo noi che siamo rimasti fermi contro gli attacchi dall'esterno e abbiamo salvato il Paese dalla vera minaccia del collasso. Insieme abbiamo reso la nostra Patria un Paese aperto al mondo, un Paese che cerca una cooperazione ampia e paritaria, un Paese che ha rafforzato le sue posizioni sulla scena internazionale e ha imparato come usare mezzi pacifici per difendere i suoi legittimi interessi in un mondo che cambia rapidamente. Abbiamo anche posto la sovranità, l’indipendenza e l’integrità del nostro Paese quali linee rosse che nessuno può attraversare. Per questo, perseguiteremo dappertutto i separatisti, e quando li troveremo, mi perdoni l'espressione, li butteremo dritti nella tazza del cesso”.

Retorica di un Paese, l’Ucraina, ormai in preda ai nazifascisti? Delirio di onnipotenza di una Nazione slava alla ricerca della propria posizione nel mondo e nella Storia? La prova dell’aggressività e dell’intolleranza dell’Ucraina e dei suoi leader verso la minoranza russofona? No, avete letto semplicemente una raccolta, fedelmente tradotta in lingua italiana, di discorsi del presidente russo Vladimir Putin tenuti a partire dal 1999, sul tema delle sfide dei movimenti separatisti nella Federazione russa a partire dagli anni Novanta e fino all’altro ieri. Già, sono tutte frasi di P-U-T-I-N! Alzi la mano chi non ha provato un senso di avversione al pensiero del piccolo popolo slavo-orientale che fa la voce grossa, senza nemmeno curarsi di mettere le mani in avanti sui “diritti delle minoranze”. Ora, di questi che hanno metaforicamente alzato la mano, quanti hanno cambiato opinione solo perché sono mutati gli aggettivi: non l’integrità ucraina, ma quella russa? Quasi tutti… Questo incipit serve a comprendere come il nostro giudizio a volte è, per così dire, condizionato: eppure, per valutare seriamente uno scenario, basterebbe porre “italiano” al posto di russo e ucraino e immaginarci come ci sentiremmo nei panni di qualcun altro. Sono tutte questioni politiche, dove il giudizio deve seguire la narrazione e non viceversa. La politica, ci insegna il grande Carl Schmitt, ha il suo paradigma naturale nella dicotomia tra amicus e hostis:

la specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici è la distinzione di amico e nemico… In ogni caso essa è nel senso che non è fondata né su una né su alcune delle altre antitesi né è riconducibile ad esse… Un mondo nel quale sia stata definitivamente accantonata e distrutta la possibilità di una lotta di questo genere, un globo terrestre definitivamente pacificato, sarebbe un mondo senza più la distinzione fra amico e nemico e di conseguenza un mondo senza politica. In esso vi potrebbero forse essere contrapposizioni e contrasti molto interessanti, concorrenze ed intrighi di tutti i tipi, ma sicuramente non vi sarebbe nessuna contrapposizione sulla base della quale si possa richiedere a degli uomini il sacrificio della propria vita e si possano autorizzare uomini a versare il sangue e ad uccidere altri uomini”.

Già, è quello che è successo e sta ancora accadendo nel conflitto russo-ucraino. Avremmo voluto e ancora vogliamo dar voce a entrambe le parti, proprio per rispetto verso tanto sangue versato. Il solo ambasciatore ucraino ha accettato di concederci questa intervista lo scorso giovedì 21 marzo, a Roma. Lo ringraziamo per averci dedicato veramente molto tempo. Le domande sono state elaborate solo da me che scrivo: non sono state né concordate, né anticipate. L’Ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell’Ucraina Yevhen Perelygin, alla presenza dell’addetto Vladyslav Mushka, ha risposto a braccia e in lingua italiana a tutte le domande, anche a quelle più scomode e difficili da metabolizzare, senza censurarne alcuna. Anche a quelle che certi lettori provocatoriamente ci avevano detto non avremmo posto… Se il lettore è curioso di leggere le risposte sui famosi cantanti italiani “bannati” da Kiev, dovrà cercarle qui di seguito. Buona lettura!

Da parte russa si sostiene che esistano pregiudizi ideologici - e di conseguenza una rappresentazione negativa - a livello politico e massmediatico in merito alla cultura, alla storia e alla politica russe: parlano di “russofobia”; voi sostenete che esistano, parallelamente, risentimenti e pregiudizi anti-ucraini a livello internazionale?

No, io non penso che esista questo fenomeno: se esiste, è presente solo in Russia. Se leggiamo i più recenti sondaggi, l’attitudine del popolo russo verso le altre nazioni è negativa, soprattutto contro Americani, Ucraini e Georgiani. È il risultato della martellante propaganda interna durate gli ultimi 8-10 anni. È possibile anche spiegare come funziona questa propaganda: quando avviene un crimine, quasi sempre quando la persona che lo ha compiuto è non russa, le Autorità e i Media chiamano il responsabile secondo la nazionalità, sottolineando che è un georgiano, un ucraino ecc. Così si facilita la diffusione di un atteggiamento contrario a Georgia, Ucraina, Stati Uniti ecc. È un modo per creare l’immagine di un nemico.

In altri Paesi è opinione diffusa che i così detti “sovranisti” facciano altrettanto: giorni addietro, in Italia, la morte di un’impiegata romena, vittima di una rapina, è passa quasi per inosservata. Qualcuno sostiene che Mosca faccia da sponsor, per lo meno culturale, a una parte del “sovranismo” europeo. Secondo lei, Mosca esercita una forma di influenza, per lo meno culturale, su partiti e movimenti “sovranisti”?

Non ho alcuna prova che esista un’influenza culturale o altro tipo di contributo. Posso dire che in Europa alcuni partiti politici populisti o della destra estremista sono convenuti sulle posizioni politiche russe, in particolare del presidente Putin.

Facciamo un passo indietro al 2013-2014 all’epoca dello Euromaidan. Il Governo ucraino dell’epoca è riuscito a tamponare abbastanza efficacemente il separatismo di alcune regioni (Kharkiv, Odessa…) e ha limitato i danni persino in Lugansk e Donetsk. Lo stesso non è accaduto in Crimea, dove la reazione russa è stata effettiva. È mancata la capacità militare di reagire o - come qualcuno ha suggerito - si è sperato in un certo senso che la Russia si accontentasse e avesse pretese limitate?

È una questione molto complessa: rispondere in due-tre minuti è quasi impossibile. L’invasione e subito dopo l’annessione della Crimea sono state uno shock per tutti, all’epoca. Innanzitutto, in Crimea sono intervenuti direttamente soldati russi, già presenti a Sebastopoli e altre basi militari: una reazione militare avrebbe comportato una guerra vera, calda e immediata tra Russia e Ucraina. Inoltre, leggendo la documentazione si avverte come fosse opinione abbastanza diffusa che la questione potesse essere risolta attraverso il negoziato e non la forza militare. Poi, la crisi esplose pochi giorni dopo la costituzione del nuovo governo, che ha avuto enormi difficoltà a comprendere che cosa stesse succedendo per problemi di comunicazione interni. Infine, una gran parte dei componenti degli apparati di sicurezza ucraini presenti in Crimea hanno deciso di schierarsi con i Russi: allora non era chiaro chi sarebbe passato con Mosca; oggi noi sappiamo che su oltre 20.000 membri delle Forze Armate, solo un quarto hanno deciso di restare con Kiev e di continuare a prestare servizio per l’Ucraina. Purtroppo, è un fatto che la gran parte di questi soldati e ufficiali passò a Mosca. A Lugansk e Donetsk il fenomeno si è presentato, all’inizio, come un attentato all’integrità dello Stato ucraino da parte di gruppi interni: la reazione è stata diversa. Nel giro di alcune settimane abbiamo visto crescere l’interferenza russa nel Donbass e la trasformazione di un conflitto interno in una invasione, un’aggressione da parte della Federazione russa. Tutto il mondo oggi riconosce la presenza fortissima di militari russi, formalmente nelle vesti di istruttori e consiglieri. Oltre al personale, la Russia ha fornito ai separatisti di queste regioni armamenti. come ha riconosciuto lo stesso Putin, affermando che non è possibile comprare carri armati in un supermercato. Sono, quindi due situazioni diverse. Il piano di Putin, però, non era limitato al Donbass: l’obiettivo era l’intera fascia meridionale dell’Ucraina, fino a Odessa.

Vuol dire che il leader russo intendeva creare una continuità tra la Transnistria, la Crimea e il Sud Est dell’Ucraina, trasformandola in un landlocked country?

No, non bisogna essere così limitativi: il Cremlino prevedeva la restaurazione dell’ex Impero sovietico! Senza l’Ucraina, però, non è possibile. Dal momento in cui gli Ucraini hanno deciso di stare dalla parte dell’Europa, Putin ha sviluppato questo piano alternativo, per prevenire il posizionamento dell’Ucraina dalla parte europea. Il primo passo avrebbe dovuto essere fatto a Lugansk e Donetsk; il secondo, quasi simultaneamente, a Kharkiv e Odessa. A Kharkiv stavano per fare lo stesso che in Lugansk; poi, quando nel palazzo del Consiglio regionale circa duecento persone hanno proclamato l’indipendenza, subito le forze speciali ucraine hanno liberato l’edificio in meno di sei ore, senza fare vittime. Così, la loro iniziativa è stata interrotta: oltretutto, è anche mancato il sostegno della popolazione nella regione di Kharkiv. A Odessa avrebbe potuto succedere la stessa cosa, cioè il fallimento del tentativo senza fare vittime e senza il sostegno della popolazione locale: purtroppo, c’è stata una tragedia e nel palazzo del sindacato sono morte quasi quaranta persone.

Mi fa piacere che abbia accennato ai morti di Odessa, senza remore. Le devo fare due domande su argomenti controversi: ci sono state e, se sì come credo, a che punto sono le inchieste sui cecchini attivi nel Maidan negli ultimi giorni della rivoluzione e sulle vittime nel palazzo del sindacato a Odessa?

La risposta è molto semplice. Ci sono dei procedimenti in corso in Ucraina: non posso fare commenti perché non ho ancora visto tutti i documenti di questi processi, ma so per certo che nelle prossime settimane vedremo i lavori dei tribunali e sapremo tutto. Centinaia di investigatori hanno lavorato per cinque anni sui casi dei cecchini di Maidan e dell’incendio alla sede del sindacato. Presto cominceranno anche le udienze e saranno pubbliche. Lo ripeto: vedremo tutto!

Nel 2014 il colpo per voi deve essere stato tremendo: avete perso una provincia e assistito al proliferare del separatismo in altre regioni. Come siete riusciti, per così dire, a limitare i danni ai soli oblast più orientali? Come avete fatto a tenere il controllo di quasi tutto il Paese, “raffreddando” non solo Odessa ma tutte le regioni russofone ad Est, non ultime le stesse Mariupol e Zaporizia?

Ce l’abbiamo fatta innanzitutto perché, a differenza dei separatisti, l’unità dell’Ucraina ha avuto il sostegno convinto della quasi totalità della popolazione. L’anno scorso sono stato nove chilometri da Donetsk e ho potuto parlare con la gente che vive in quel territorio, lungo la linea di separazione. Sono civili che vivono in condizioni molto pesanti, ma non intendono assolutamente vivere sotto quelli che comandano ora a Donetsk. Poi, perché si è innescato un generosissimo movimento di volontari, tra maggio e giugno del 2014, che ha creato le condizioni per l’esercito e le forze speciali ucraini per fermare questo fenomeno in Lugansk e Donetsk. E questi volontari non sono venuti solo dall’Ovest: molti sono anche della stessa regione del Donbass.

In questi quasi cinque anni come è migliorata la national security in Ucraina?

Moltissimo. Come detto da alcuni esponenti politici, veramente nell’anno 2014 non abbiamo avuto un esercito! Dopo cinque anni, le nostre Forze armate sono molto più vicine agli standard dei Paesi europei e nord-americani. Per questo, la nostra sicurezza di oggi non è quella del 2014: ecco perché Putin non ha potuto continuare a fare come nel 2014! Ho incontrato qui a Roma il nostro ministro della Difesa e ho potuto visitare le basi militari in Donbass, ma soprattutto ho fatto il servizio militare all’epoca dell’Unione sovietica e posso vedere la differenza tra il sistema che avevamo prima e quello che abbiamo oggi. Noi abbiamo dichiarato che è nostro obiettivo integrare la politica, la società, le Forze armate, tutte le componenti del Paese nella NATO. Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto l’aiuto di molti Paesi: Polonia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada e anche l’Italia… L’Italia ci ha aiutato e ci aiuta nella formazione dell’esercito…

Anche adesso, col governo attuale?

Sì, in quanto membro della NATO l’Italia ci aiuta.

Come sono cambiato i fornitori delle Forze armate e della Difesa ucraine negli ultimi cinque anni?

Quando uno parte da un modello di tipo sovietico o russo, non è facile cambiare in fretta: tuttavia, ogni anno abbiamo cambiato gradualmente non solo il sistema di funzionamento delle Forze armate ma anche gli armamenti. Riceviamo gli armamenti da fornitori canadesi, americani, britannici ecc. ma soprattutto abbiamo a produrre internamente. Dieci anni fa una società privata non avrebbe potuto lavorare come supplier nell’industria militare: c’erano solo imprese statali! Oggi ci sono centinaia di imprese private che producono su richiesta dello Stato. Insomma, oggi importiamo e produciamo le armi!

Ora le devo fare due domande in una, in merito ai prigionieri ucraini: qual è la situazione degli ex cittadini ucraini detenuti nelle carceri della Federazione russa? Come avvengono gli scambi dei prigionieri tra voi e i separatisti?

Negoziamo con la Russia direttamente per il rilascio dei prigionieri politici, cioè di cittadini ucraini che in Crimea si sono trovati con la cittadinanza russa e sono finiti in carcere per le loro opinioni: parliamo di giornalisti, scienziati, registi ma anche di normali civili, nessuno con la divisa. Sono prigionieri politici. Purtroppo, la Russia non risponde. Altra cosa sono gli ucraini catturati durante le operazioni nel Donbass. Anche noi abbiamo nelle nostre carceri persone che hanno combattuto contro l’Ucraina: per questo, abbiamo proposto di fare uno scambio di prigionieri. La nostra proposta è stata: tutti per tutti. L’ultimo scambio - due pullman quasi pieni - nel Donbass è stato quasi tre anni fa, dopo un incontro di persona e pubblico tra un rappresentante del Governo ucraino e Putin, con una richiesta di scambio per motivi umanitari, in presenza del Patriarca di Mosca. Da allora, tutte le nostre proposte di scambio sono state ignorate. Perché? Prima, ci hanno detto che dovevamo aspettare le elezioni presidenziali in Russia: dopo la rielezione di Putin, ci aspettavamo di andare avanti, ma ci siamo sentiti rispondere che i Russi preferiscono aspettare anche le elezioni in Ucraina. Nel frattempo, centinaia di persone rimangono incarcerate in Donbass: da parte nostra, abbiamo la volontà di fare questo scambio. Ma non c’è risposta neanche da parte delle autoproclamate autorità illegali di Donetsk e di Lugansk, perché non ricevono istruzioni da Mosca. C’è una sola persona che può dare l’autorizzazione a fare questo scambio - per motivi umanitari - ed è Putin.

Avete mai chiesto mediazioni internazionali?

Il nostro presidente e il nostro parlamento hanno fatto richieste ufficiali ai leader europei. Sia Angela Merkel sia Emmanuel Macron hanno chiamato Putin e ci hanno parlato di persona, ma senza risultati. Io, qui, ho fatto tantissimi tentativi chiedendo ai partiti politici italiani più vicini a Putin personalmente o al suo partito, Russia unita, di mediare per un motivo umanitario. Non l’ho chiesto né per me né per l’Ucraina, ma per delle persone umane. Purtroppo, non sono arrivati risultati positivi.

Qual è la situazione della crisi russo-ucraina nel Mare di Azov e quali conseguenze comporta sulla città di Mariupol?

Il traffico navale tra il Mare di Azov interno, dal lato ucraino, e il mare aperto, sia Mar Nero sia Mediterraneo, è ostacolato tantissimo. Oggi nessuna imbarcazione può navigare liberamente attraverso lo Stretto di Kerch perché il servizio russo ferma e ispeziona ogni nave, a volte trattenendole anche per tre o quattro giorni. Questo costituisce una pesante ipoteca per il commercio e l’industria: ogni giorno perso è un danno finanziario. Durante gli ultimi dieci mesi più di 600 navi sono passate attraverso le ispezioni e hanno perso giornate intere, con perdite finanziarie e mancati guadagni. Per i prodotti di Mariupol comporta un aumento insostenibile dei costi rispetto alla concorrenza internazionale: consideri che quello è il primo porto per l’industria metallurgica ucraina e il secondo per i cereali. Il leader del mercato siderurgico ucraino, Azovstal, è di Mariupol.

Parliamo di un tema di attualità: come sono messi i vostri rapporti con l’Ungheria e qual è la condizione delle minoranze linguistiche in Ucraina?

Abbiamo sempre avuto ottimi rapporti e sviluppato tantissimi progetti con l’Ungheria, che è nostra vicina. Vent’anni fa sono stato membro della commissione intergovernativa tra Ucraina e Ungheria e ho lavorato tanto con Budapest. Abbiamo una minoranza magiara in un’unica regione: in passato, non ci sono stati problemi linguistici o di altra natura. Due anni fa abbiamo cambiato la legislazione - che adesso si pone l’obiettivo che tutti i cittadini ucraini siano capaci di parlare e capire la nostra lingua - ed è sorto un problema. Un anno fa il nostro ministro degli esteri ha partecipato all’inaugurazione del Consolato ungherese nella regione transcarpatica. Si badi bene che detto Consolato dovrebbe servire gli Ucraini che hanno interessi in Ungheria. Il ministro ha parlato col personale, più di 20 cittadini ucraini: di loro, solo uno parlava la lingua ucraina. Gli altri, pur vivendo in Ucraina e essendo cittadini ucraini, non erano in grado di parlare né di capire la lingua ucraina! Parlo nell’interesse di queste persone: se non parlano la lingua ucraina, non possono lavorare o studiare in altre città o regioni e restano vincolati al loro villaggio. La legge ora impone a tutti di studiare la lingua ucraina, ma non impedisce di usare o di imparare quella magiara: su questo c’è stato un difetto di comprensione. Prima, nelle scuole di queste comunità imparavano solo l’ungherese: adesso, imparano sia l’ucraino sia l’ungherese.

Quindi, le minoranze di lingua ungherese e soprattutto russa non hanno niente da temere?

Le dico che, per fare un esempio con la lingua magiara, l’insegnamento della letteratura e della storia ungherese rimarrà in quella lingua nella scuola pubblica. Letteratura ucraina e matematica saranno in ucraino.

In futuro supererete il divieto, ancora di sapore sovietico, del secondo passaporto?

Tra i politici ucraini - incluso il ministro degli Esteri - ci sono sempre più persone che sostengono l’idea della dual citizenship.

Le faccio una domanda tremendamente attuale: l’Ucraina - insieme al Kazakistan e alla Bielorussia - è l’unico Paese - fino ad oggi - ad aver rinunciato allo status di potenza nucleare, nel 1994. Se potesse tornare sui suoi passi, secondo Lei Kiev ci rifletterebbe due volte prima di rinunciarvi? Che messaggio arriva a altri Paesi - segnatamente, alla Corea del Nord - dalle ultime vicende che hanno colpito l’Ucraina?

Io sostenni e ritenni al 100% giusta la decisione del 1994 di rinunciare alle armi nucleari. L’Ucraina non avrebbe fatto in nessun’altra maniera.

Lo è ancora…?

Ancora ritengo che Ucraina, Kazakistan e Bielorussia abbiano preso la decisione giusta nel 1994. C’è stato un errore nella ricezione della garanzia da parte di Russia, Stati Uniti, Regno unito ecc. L’errore non è stato nella rinuncia alle armi, ma nell’ambiguità della formulazione in inglese della garanzia internazionale: la sicurezza dell’Ucraina ha ricevuto assurances, non una guarantees.

E di questo dovrà tenere ben conto la Corea di Kim, immagino… Infine, una domanda più leggera. Negli ultimi giorni, siete stati molto nei media per la questione del blacklisting di alcuni artisti e intellettuali. In che cosa consiste questo blacklisting?

Queste persone non possono penetrare nel territorio ucraino. Abbiamo una legge per cui, se un intellettuale o un artista non riconosce l’integrità territoriale dell’Ucraina o, più semplicemente, riconosce la Crimea come una parte della Federazione russa, non può visitare l’Ucraina. Parimenti, i suoi film o concerti non possono essere trasmessi nel territorio ucraino. Per questo, si è formata questa lista di 147 persone di cultura.

Quanti sono gli italiani in questa lista?

Solo uno: Albano Carrisi, perché con dichiarazioni pubbliche ha riconosciuto la Crimea come parte della Russia e che, testualmente, è bene che la Crimea sia tornata alla Russia. È stato inserito nella lista delle persone non grate su richiesta dei servizi segreti e del ministero della Cultura. Poi, in un’altra lista di quelli che hanno violato la legge c’è il “famoso” Giulietto Chiesa. Nella lista degli uomini di cultura ci sono anche un famoso attore americano, Steven Seagal, alcuni artisti francesi e più di cento russi.

Foto: Ambasciata Ucraina / MoD Ucraina / Cremlino