Intervista al prof. Neri: "...l’Europa è anche nostra, non un’identità persa"

(di Maria Grazia Labellarte)
10/11/18

“La cosa fondamentale da sottolineare è che fu una grande guerra nazionale, che per la prima volta vedeva un esercito di soli ITALIANI contro gli stranieri”. A citare la Grande Guerra è Nicola Neri, professore ordinario presso l’Università degli studi di Bari, con cui, all’indomani delle celebrazioni storico-commemorative del 4 Novembre, abbiamo condiviso opinioni, ricordi e attualità sulla scia del post evento.

Alle ore 15.00 del 4 novembre 1918, il nostro Esercito vinceva la Grande Guerra, la resa dell'Impero austro-ungarico era sancita. Nel 1919 proprio per commemorare la vittoria italiana nella prima guerra mondiale, viene istituita la Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. Al di là dell' importante significato storico-commemorativo, quanto ha ancora valore oggi ricordare proprio quella vittoria?

Un valore massimo perché le istituzioni si animano di tradizione storica. Le istituzioni non sono fatte solo per fare funzionare alcune branche della società o per provvedere a soddisfare talune necessità della comunità nazionale, sono anche questo, ma hanno bisogno di essere animate dalla consapevolezza collettiva, dalla passione collettiva. Sebbene le istituzioni si incarnino in persone, che in quanto tali sono “fallibili” e che dunque possono essere e devono essere oggetto della nostra critica, dobbiamo sempre separare lo spirito di chi le incarna - e occasionalmente può sbagliare - pertanto celebrare questo centenario significa celebrare la “permanenza” delle istituzioni rispetto agli uomini che le hanno onorate, significa saldare la coscienza nazionale a una cosa che non può essere inventata come la tradizione, un patrimonio insostituibile. Sappiamo bene che nelle nostre esperienze culturali ciò che ci nobilita è il passato, come intatto resta il motivo di celebrare questa vittoria che ci fece riappropriare della nostra libertà e che, in questo caso, fu riscattata con grandissimo sacrificio, quindi abbiamo un DOPPIO dovere di ricordarla.

In quella occasione, e per la prima volta, un popolo intero percepì la “Nazione”, il senso della Patria ambendo persino al sacrificio. Oggi, cosa é rimasto di “quel” senso patriottico? Bisognerebbe accentuare il significato storico - commemorativo della nascita di un popolo che “si scoprì nazione”?

Certamente c’è anche questo motivo, non vi è dubbio che fu la prima esperienza trasversale, nazionale, in cui davvero gli italiani di tutte le regioni furono chiamati non solo ad essere quello che erano ma anche qualcosa di più. Si pensi alla difficoltà di comunicare, ad esempio, con i loro corregionali dell’esercito o marina; essere italiani e fare uno sforzo identitario superiore, in nome peraltro di un ideale “apparentemente” impalpabile, che è quello della Patria. Che poi è perfettamente “palpabile”, perché la patria si incarna nel popolo stesso.

Come pensare che questo ideale possa essere sbiadito? Può solo essere ri-emotivato. Indubbiamente quel grande gesto nazionale, quello sforzo prolungato contribuì a fornire un cemento all’identità nazionale di tutti gli italiani di allora e di oggi, in un modo che non ha eguali nella storia unitaria. Non dimentichiamo che, ad esempio, gli italiani nella penisola, dall’impero romano alla prima guerra mondiale, le guerre le hanno sempre combattute, ma a volte gli uni contro gli altri oppure appoggiandosi ad un alleato straniero. La cosa fondamentale da sottolineare è che fu una grande guerra nazionale, che per la prima volta vedeva un esercito di soli ITALIANI contro gli stranieri, sforzo culturale che questi nostri progenitori sono riusciti a fare certamente in forza della necessità ma uno sforzo morale, culturale aggiuntivo rispetto a quello materiale.

In una delle celebrazioni commemorative della Grande Guerra lei avrebbe sostenuto che “il futuro lo costruiamo nel presente“. Quale futuro intravede per l’Unità Nazionale?

In questi cento anni, nel frattempo, ci siamo arricchiti di un’ulteriore identità, non prettamente nuova, che è sempre stata latente, magari “strutturata”. Stiamo parlando dell’identità europea che si è affiancata a quella nazionale. Sono note le critiche e le problematiche che sono legate a questa seconda identità, ma non va dimenticato che, proprio con le due grandi guerre civili europee che designiamo anche "mondiali", per la prima volta nella storia politica mondiale è sorta una federazione di Stati fondata su una base pacifica, ossia abbiamo costituito la prima grande potenza civile pacifica che è l’Europa.

Vedo dunque innanzitutto la nostra identità non demotivata, non sottratta, non svuotata in alcun modo da quella europea. Come già diceva Benedetto Croce sono identità che si accostano naturalmente, non vi è dubbio che alcune direttive europee, a volte, possano risvegliare il sentimento nazionale, tutto sommato il futuro delle identità nazionali è garantito. Da quando si sono combattute le due guerre gli stati-nazioni sono aumentati. Pensiamo ad esempio anche alla Società delle Nazioni: all’inizio sedevano solamente poche decine di Paesi, oggi, sono circa duecento e vediamo come il desiderio di identità e indipendenza nazionale è cresciuto, sarà poi la storia a decidere quali di queste esperienze abbia più o meno successo.

Per ritornare alla nostra Europa, vedo ben robusti i sentimenti nazionali - e l’esperienza della Gran Bretagna lo dimostra - ma vorrei aggiungere anche questo: oggi non c’è più da temere che la robustezza di un sentimento nazionale possa essere anche premessa di una minaccia militare, anzi forse l'istanza pacifica sorge quando l’identità nazionale è ben definita. Al momento c è molta violenza, ma in realtà non abbiamo un conflitto guerreggiato in corso tra due o più stati-nazioni certo, lo sfioriamo, ci sono tensioni, freddezza, ma non ci sono minacce importanti, potremmo concludere che lo stato-nazione è diventato un presidio sano, eterogeneo e democratico per come lo abbiamo interpretato noi in Europa, ecco un presidio di pace.

Quale Italia invece intravede nel futuro dell’ambita Europa?

Sarà quella Italia che gli italiani vorranno caricare di significato, l’Europa è anche nostra, non un’identità persa. Siamo uno dei Paesi fondatori per cui non c'è un Italia che possa prescindere dall‘Europa e l’Europa non può fare a meno dell’Italia. Siamo degli attori protagonisti.

   

* Nicola Neri appartiene al settore scientifico disciplinare SPS/06, "Storia delle Relazioni Internazionali", è professore aggregato di "Storia dei Trattati e Politica Internazionale" presso la laurea specialistica in Relazioni Internazionali, e di "Storia della Guerra e delle Istituzioni Militari". Ha conseguito l’abilitazione per professore associato nel 2012, e per professore ordinario nel 2018. E’ direttore dell’: "Osservatorio Balcanico", centro di studi e ricerche dell’Università degli Studi di Bari. E’ delegato per il Rettore dell’Università degli Studi di Bari per i rapporti con le Forze Armate. Insegna presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, di Roma, e il Centro Alti Studi Difesa. E’ direttore della collana di studi storico-militari "Le Lance". E’ Ufficiale della Riserva Selezionata dell’Esercito, con il grado di Maggiore. Svolge in tale veste incarichi di consigliere storico e politico.