“Il segreto dei Marò”

(di Enrico Baviera)
14/03/16

Li hanno rispediti in Italia, quel 3 gennaio 2013, perché ce li tenessimo: mai gli Indiani si sarebbero aspettati che li avremmo rimandati indietro”.

Deciso e sicuro nell’affermarlo, con l’immancabile piglio del giornalista d’inchiesta che fa di Toni Capuozzo, firma storica di Mediaset, uno degli inviati più seguiti del panorama nazionale.

Lo abbiamo incontrato il 12 marzo u.s. al Circolo Ufficiali dell’Esercito di Bologna, dove ha presentato il suo ultimo libro scritto per Mursia: “Il segreto dei Marò” .

Un libro che il giornalista e volto noto dell’informazione televisiva ha scritto di getto, per amore di verità, e per quel particolare sentimento di amicizia che lo lega - da molto prima del tragico evento - proprio a Massimiliano Latorre, uno dei due fucilieri di Marina conosciuto durante i tanti reportage fatti in Afghanistan.

Come stanno i nostri due militari? Sentono di essere stati abbandonati?

Di Salvatore Girone so quello che mi racconta Massimiliano; so che si sta laureando on line, è cosa lunga far passare il tempo laggiù, tra le quattro mura dell’Ambasciata.

Massimiliano invece continua a non star bene, e se potesse, tornerebbe in India anche domani.

(A differenza di chi ce l’ ha mandato lì) non si perdona il fatto di aver lasciato lì un suo commilitone.

Un libro che vuole fare chiarezza e richiamare l’attenzione su tutta la vicenda.

Questo non è un libro come gli altri; è fatto con tanta rabbia, con il solo intento di non far passare sotto silenzio quello che è realmente successo quel 15 febbraio 2012.

E’ triste il silenzio generale dei media su tutta la vicenda. Sappiamo tutto su Meredith, o su Nadia Gambirasio, ma a nessuno importa di spiegare, ad esempio, se l’ictus che ha colpito a 46 anni Massimiliano Latorre possa essere imputato all’intera vicenda: se sia una conseguenza psicosomatica di quanto patito.

Mi viene quasi il sospetto che in Italia vi siano cittadini di serie A e cittadini di serie B.

E non se ne parla perché la politica e le Istituzioni hanno fatto in tutta la vicenda una pessima figura, mettendo in mostra la fotografia di un paese che non è in grado di portare a casa due suoi servitori in uniforme.

Indicativo che il libro sia prima stato proposto a Mondadori e Rizzoli (prima che si alleassero), e che nessuno dei due colossi editoriali abbia manifestato interesse a pubblicarlo.

Una vicenda, però, che una fetta importante di Italiani stenta a mandare giù.

Ed è molto strano, perché ovunque vada, trovo sempre sale gremite di gente indignata, che vuole conoscere i fatti.

La verità è che questi due ragazzi, con il loro silenzioso ubbidire, ed anche nel modo con cui portano la loro uniforme, sollecitano un forte sentimento di orgoglio. Anzi, a pensarci bene, la divisa hanno dimostrato di portarla con più onore loro dei superiori che li hanno mandati laggiù.

Vero è che una certa Italia, anche istituzionale, non ha mai creduto alla loro innocenza.

Fosse solo per il diritto di avere un giusto processo…

Già, mi viene in mente la domanda di Bertold Brecht “C’è un giudice a Berlino?”

Quel diritto sacrosanto di avere un giudice.

Quattro anni sono ormai passati da quel 15 febbraio 2012, ed almeno altri due ne passeranno prima che il Tribunale Internazionale del Mare di Amburgo decida la competente giurisdizione: solo allora inizierà il processo vero e proprio.

Dove è il sempre invocato garantismo, la cultura del diritto?

Perché la prima volta che sono rientrati in Italia non un solo magistrato, per ragioni di giustizia, abbia ritirato loro il passaporto?

Tempo fa stavo a Roma, a casa di un alto ufficiale delle Forze Armate, presente anche un rappresentante della Procura il quale, alla domanda fattagli dalla padrona di casa sul perché ai due militari non fosse stato - per motivo d’indagine - impedito di espatriare, ebbe a rispondere che fu suggerito di astenersi dal farlo... per il bene dei ragazzi (con buona pace della tanto invocata indipendenza della nostra magistratura, che - si sa - funziona ad intermittenza).

In più, gli Indiani in tre anni non hanno formulato un solo capo di accusa...

E questo fa capire perché li abbiano mandati in permesso in Italia: solo perché ce li tenessimo.

In tal caso, certamente, avrebbero fatto un po’ di caciara a livello diplomatico, ma sarebbe finita lì, e si sarebbero levati dall’imbarazzo dell’intera vicenda.

D’altronde, fatti oscuri la vicenda ne presenta non pochi.

Alle 16.15 la Enrica Lexie comunica un tentativo di attacco da parte di una imprecisata barca di pirati. Tentativo respinto per aver mostrato di avere a bordo personale armato (i militari, sportisi dal ponte, hanno fatto cenno alle armi in dotazione).

Subito dopo, la piccola imbarcazione (dei pirati) cambia rotta e si allontana.

Alle 21.15 dello stesso giorno, poco distante, una petroliera greca lancia un allarme per la presenza di due imbarcazioni con intenzioni ostili (una è proprio quella che aveva cercato di attaccare in precedenza il cargo italiano?).

La Guardia costiera indiana raccoglie il segnale e si precipita sul posto - è notte fonda -; ne scaturisce un intervento a fuoco che colpisce però la barca dei pescatori.

Da questo momento in poi, gli indiani tenteranno di riportare indietro la lancetta per far cadere l’incidente nell’ambito del primo allarme dato dalla nave italiana.

A dimostrazione di questa tesi vi è anche il fatto che la prima autopsia ai cadaveri dei due pescatori eseguita da un medico indiano segnala fori di entrata compatibili con un calibro 7.60mm, proprio quello in uso alla guardia costiera indiana.

Solo dopo che la ricognizione a bordo della nave rivelò la tipologia di armi dei nostri fucilieri (5.56mm), una seconda perizia balistica cambia la compatibilità con quella di dei nostri fucili mitragliatori Beretta.

L’India sta quindi esercitando la sua autorità su due individui scagionati dalle sue stesse prove raccolte sul campo?

Certo, e l’Italia lo sa. Sbaglio, o i marò sono stati ricevuti al Quirinale, anche individualmente, da ben due Presidenti, Napolitano e Mattarella? La prova che sono stati sacrificati alla ragione di Stato.

L’Italia ha però risarcito le famiglie dei due pescatori indiani (€ 150.000 a testa, ndr).

Scelta suicida, soprattutto davanti all’opinione pubblica indiana. Come quella del comandante Vitielli (concordata con l’armatore) di far ingresso in porto, o quella di far salire a bordo la polizia del Kerala; fatto, quest’ultimo, quantomeno insolito – la nave è territorio italiano – verificatosi addirittura alla presenza del nostro Console.

Cosa rimane di questa vicenda?

Pensi solo al messaggio che la storia lascia a tutto il nostro personale in uniforme: qualunque cosa ti accada, nessuno, men che mai il tuo Stato, ti tutelerà.

E’ fiducioso per il futuro?

No, no non lo sono affatto. Soprattutto non ho fiducia nella nostra classe politica, una parte della quale cerca di utilizzare la vicenda a proprio appannaggio.

Quella legge, ricordo, fu l’ultima del governo Berlusconi (su proposta del Ministro della Difesa on. La Russa, ndr) e la votarono tutti.