Crisi nel Mediterraneo e tensioni in Estremo Oriente secondo l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi

(di Andrea Cucco)
02/05/17

Negli ultimi mesi tensioni e crisi in diversi aree del globo sembrano acuirsi. Partendo dal Mediterraneo in cui l'emergenza migranti sembra aggravarsi sotto molti aspetti (vedi i recenti potenziali scandali sulle Ong la cui portata potrebbe essere ancora tutta da scoprire...) raggiungiamo la penisola coreana le cui cronache sembrano aver rilanciato su scala mondiale la vendita di rifugi antiatomici. Complici di tanto allarme sono sicuramente i troppi commenti di "esperti" che su una nave non hanno messo mai piede (se non per andare in Sardegna) o che - "strateghi nati" - non hanno mai indossato una divisa (magari anche se appartenenti ad una generazione in cui la leva era obbligatoria).

Per offrire ai lettori un punto di vista inedito abbiamo incontrato un italiano che su una nave militare è sicuramente salito, l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di stato maggiore della Marina Militare che ha sempre avuto un indiscutibile pregio: dire sempre la verità, per quanto scomoda...

Partiamo dalle nostre coste. C’è oggi chi rimpiange "Mare Nostrum", un’operazione nata per dare risposta concreta al dramma del Mediterraneo. Successivamente cosa è successo e perché è stata cancellata nonostante l’emergenza non sia mai terminata?

Mare Nostrum fu la risposta ad un’emergenza umanitaria senza precedenti. Quello che molti non ricordano è che a bordo delle nostre navi operavano la polizia di stato che provvedeva all’identificazione dei migranti e personale medico, per assicurare il filtro sanitario prima dello sbarco. Un’operazione ad ampio spettro, non solo umanitaria, basata sul coordinamento inter-agenzia e interforze della Marina Militare che, oltre a ridurre enormemente il numero di morti in mare, ha consentito l’arresto di quasi 400 trafficanti di esseri umani.

La crescente paura dello straniero nell’opinione pubblica e di parte della Politica che accusava Mare Nostrum di essere un “pull factor” (i fatti hanno dimostrato il contrario), il mancato sostegno dell’Europa, a favore di Frontex, la comparsa di ISIS in Libia, ne hanno segnato il destino. Mare Nostrum è stata quindi sostituita da Mare Sicuro (ancora in corso), orientata prioritariamente alla sicurezza marittima, affiancata dalla missione EU Sofia, con lo scopo di contrastare la libertà di movimento dei trafficanti di esseri umani e di preparare la guardia costiera della marina libica ad esercitare il controllo delle sue coste e acque territoriali. Le navi hanno naturalmente continuato a fare soccorsi, unitamente ai mercantili, ma il numero di migranti giunti in Italia è aumentato sensibilmente così come purtroppo i morti in mare.

Recentemente si sono moltiplicate le navi delle ONG e la situazione, soprattutto in termini di contrasto dei trafficanti di esseri umani, si è decisamente complicata. Nel frattempo si sono accumulati in Libia almeno 500.00 disperati (qualcuno parla di molti di più) in attesa di essere trasportati in Italia. Si tratta di una bomba innescata sotto il profilo umanitario di attesa di esplodere. L’apertura di corridoi umanitari, previa l’attivazione di presidi, preferibilmente EU, altrimenti italiani, di accoglienza e verifica in territorio libico conseguirebbe il risultato di danneggiare profondamente il business dei trafficanti di esseri umani e certamente non sarebbe indenne da rischi per il nostro personale. Da questo punto di vista la Brigata Marina San Marco supportata da un paio di LPD potrebbe assicurare di concerto con i libici del governo Sarraji la necessaria cornice di sicurezza, mantenendo a terra, grazie alle navi, un’impronta logistica leggera, Dal largo il Cavour o il Garibaldi e le LPD potrebbero fornire con la loro componente aerea la protezione e nel caso peggiore l’evacuazione del personale in caso di necessità. Il governo, prima di Renzi e ora di Gentiloni, ha conseguito notevoli risultati nel controllo dei flussi migratori provenienti dal Niger e dal Fezzan, è quindi tempo di togliere spazio ai trafficanti in Libia, prima che la situazione umanitaria degeneri ulteriormente. L’Europa seguirà.

Secondo lei la cosiddetta "primavera araba" che scenario ci ha consegnato?

La primavera araba, non ha portato come molti hanno pensato all’affermazione della democrazia negli stati del Nord Africa e del Medio Oriente. È accaduto il contrario. Il fuoco del fondamentalismo islamico è divampato, alimentando forze centrifughe che stanno mettendo in discussione quelle che sembravano tendenze culturali e politiche ineluttabili e con esse il destino anche di alcune grandi nazioni mussulmane, apparentemente avviate verso la modernità (es. Turchia). Da oriente a occidente, la guerra civile in Siria, aggravata dalla presenza di ISIS, il rischio di destabilizzazione in Egitto, il crollo della Libia, di fatto divisa fra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, con vaste “terre di nessuno”, pongono problemi di sicurezza di diretto interesse nazionale: flussi migratori fuori controllo, linee di comunicazione marittime meno sicure (basti pensare alla sicurezza di SUEZ!), pericolo di disastri ambientali, per possibili attacchi alle piattaforme petrolifere, oltre al prevedibile tentativo di inserimento in Libia di ulteriori componenti di ISIS in fuga dalla Siria e dall’Iraq. Ecco perché è urgente che l’Europa riveda la strategia verso il Mediterraneo, a cominciare dal sostegno al cosiddetto “migration compact”, promosso dall’Italia e nella stabilizzazione della Libia.

Noi possiamo, anzi dobbiamo, prendere l’iniziativa e giocare un ruolo attivo in Libia, contribuendo in maniera significativa alla sicurezza del Mediterraneo. L’Europa seguirà, ma dobbiamo essere consapevoli che nessuno toglierà le nostre castagne dal fuoco.

Come giudica la politica di Trump nei confronti del regime di Pyongyang? Il New York Times ha raccontato che l’equivoco della portaerei Vinson (foto) è nato per colpa di problemi di comunicazione fra le varie istituzioni che si occupano della difesa (v.articolo). Trump sta quindi bluffando oppure l’hard power del presidente americano è davvero pronto a mettere alle corde il governo nordcoreano?

La combinazione di sanzioni e di sussidi alla Corea del Nord che ha caratterizzato la politica USA nei suoi confronti dal 1994 in poi non ha raggiunto gli scopi desiderati, ovvero l’apertura del regime al mondo occidentale e soprattutto la rinuncia alla corsa al nucleare militare. Dal 1994 ad oggi, la Corea del Nord ha sistematicamente disatteso gli impegni presi in cambio degli aiuti ricevuti, riprendendo puntualmente la sua corsa verso il nucleare. Il regime considera questa l’unica via per la sua sopravvivenza e non demorderà se non messo effettivamente alle corde. La dislocazione delle portaerei e la manifestazione della presenza dei sottomarini nucleari USA in zona costituiscono un segnale, non solo per la Corea, ma anche per la Cina di un cambio di passo nella politica americana nell’area. Intendiamoci, la pressione USA per essere efficace, al netto di un eventuale opzione militare (oggi poco verosimile a meno di una manifesta provocazione nordcoreana che consenta alla Cina di non reagire a sua volta), dovrà utilizzare maggiormente anche le carte del blocco degli assetti finanziari in dollari, posseduti dalla Corea del Nord nel mondo occidentale e dell’interruzione del costante flusso di aiuti dalla Corea del Sud. Un ruolo importante nel rallentamento della corsa al nucleare continuerà a giocarlo anche la cosiddetta cyberwarfare, probabilmente già in atto anche alla luce dei recenti fallimenti nei test di lancio missilistici coreani.

In questo scenario geopolitico che ruolo hanno Russia e Cina sulla vicenda di Kim Jong-un e sul dispiegamento del THAAD (foto) in Corea del Sud?

Molti analisti sono convinti che la Cina risolverà la partita, forzando Kim Jong Un a fermarsi. La Cina è senz’altro parte della soluzione, ma è anche parte del problema, perché piuttosto che assistere alla riunificazione della Corea sotto Seul e avere gli americani ai suoi confini, sosterrà il dittatore coreano, anche accettando l’acquisizione da parte sua di una limitata capacità atomica. È quindi evidente come sia necessario trovare accordi e scelte che soddisfino in primo luogo le ambizioni/interessi cinesi, evitando il crollo del regime di Kim Jon Un, in modo che valga la pena per la Cina intervenire incisivamente sulla Corea del Nord.

Le mosse statunitensi, fra cui l’avvicinamento di uno o più gruppi portaerei, nelle acque prospicienti la Corea del Nord, l’attacco alla base aerea siriana, il lancio dimostrativo in Afghanistan della super bomba convenzionale (idonea alla distruzione di bunker, installazioni sotterranee, etc.), l’ostentata “imprevedibilità” di Trump, potrebbero aumentare in questo momento la forza della eventuale mediazione cinese nei confronti della Corea. La volontà USA di installare nella Corea del Sud sistemi missilistici THAAD (Terminal High Altitude Air Defence) mira non solo a rassicurare la Corea del Sud e il Giappone circa la volontà USA di proteggere gli alleati, ma vale anche come forma di pressione ulteriore sulla Cina, che ha sempre osteggiato l’inserimento in teatro di tali missili.

Nel frattempo gli americani dovrebbero utilizzare appieno anche la carta del blocco degli assetti finanziari in dollari della Corea del Nord nel mondo e obbligare anche la Corea del Sud a interrompere il flusso di aiuti verso il Nord, per mettere effettivamente il regime di Kim Jung Un davanti a una scelta cogente.

Per la Russia la tensione in Oriente è un’opportunità per proporsi come alternativa alla Cina in chiave di contenimento USA nell’area e ottenere, in cambio di una sua non interferenza, una maggiore libertà di manovra in Siria, nei confronti dell’Egitto, della Libia e più in generale in Mediterraneo.

Non bisogna trascurare, in questa vicenda, il peso del Giappone che è uno degli attori di riferimento per la sicurezza del Pacifico orientale e partner fondamentale, economico e militare degli USA nell’area. Il contenzioso sulle isole del mar della Cina, è uno degli anelli deboli della trattativa fra USA e Cina sulla questione coreana, complicando non poco l’equazione del rapporto con la Cina nel suo complesso e di conseguenza della via d’uscita dalla crisi nordcoreana.

Ormai Kim Jong Un è in grado di colpire la Corea del Sud e probabilmente il Giappone. Il tempo a disposizione di Cina e USA per risolvere la questione volge rapidamente al termine.

(foto: Difesa Online / Marina Militare / U.S. Navy / U.S. DoD)