Commissione Uranio: le considerazioni del generale Bertolini sulle misure di sicurezza in ambiente operativo

(di Andrea Cucco)
09/02/18

Alla luce di quanto è emerso in questi ultimi due giorni, dopo la presentazione alla stampa il 7 febbraio scorso della relazione finale della commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito nel comparto Difesa, da parte del presidente senatore Gian Piero Scanu (PD) ed oggi della relazione di minoranza presentata dall’on. Mauro Pili (Popolo delle Libertà), è apparso evidente un attacco frontale ai massimi vertici delle Forze Armate, almeno quelli che erano in carica al tempo delle missioni e dei fatti oggetto dell’inchiesta.

Al di là del rispettabilissimo intento di salvaguardare la salute dei militari e di dare una risposta che in qualche modo sia di conforto e sollievo ai militari attualmente malati e alle loro famiglie è apparso singolare i tempi e i modi della presentazione. Si è parlato di “sconvolgenti criticità”, di “negazionismo dei vertici” andando giù pesanti anche verbalmente e riferendosi al mondo militare come ad un mondo autoreferenziale e autarchico. Verrebbe da dire che sembrerebbe aver scoperto l’acqua calda. Il mondo militare è per sua natura un mondo che fa della discrezione un aspetto distintivo anche se va notato che i tempi sono cambiati molto rispetto al passato e che anche il mondo militare si è adeguato per quello che ha potuto ad una totale apertura verso il pubblico e i cittadini, come gran parte della pubblica amministrazione. Ma sarebbe un errore pensare che questa apertura sia estesa al mondo operativo, propriamente detto, esso è e crediamo giustamente rimarrà di difficile accesso ad un vasto pubblico senza per questo che le Forze Armate debbano essere accusate di negazionismo.

Abbiamo voluto sentire su questo tema, chi per tanti anni ha fatto parte di quel mondo militare operativo, il generale Marco Bertolini, già comandante della Folgore e comandante del Comando Operativo di vertice Interforze.

Generale come giudica le conclusioni a cui è giunta la commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio e che sono stati resi pubblici dal senatore Scanu?

Mi è sembrato un attacco frontale alle Forze Armate che ha il solo effetto, i maligni direbbero il solo scopo, di erodere alla base la ragion d’essere dell’organizzazione militare. Spiace constatare che il senatore Scanu, che ben conosce la realtà militare per essersene occupato per molti anni quale presidente della commissione difesa del Senato, abbia una così bassa considerazione della dirigenza delle Forze Armate, rendendosi promotore di una vera rivoluzione ai danni della realtà militare italiana. Una rivoluzione morale e motivazionale, che mette i Comandanti sul banco degli imputati; che li inchioda al ruolo di “datori di lavoro”, con tutte le incombenze anche burocratiche connesse, costringendoli anche in operazioni –Afghanistan, Somalia, Iraq, Libia, Libano e tra poco, Niger – a concentrare la propria attenzione su norme importanti per un normale ambiente di lavoro, ma molto meno per l’ambiente operativo, distogliendoli dal loro compito principale, vale a dire la pianificazione operativa per contrastare le minacce “vere” alla sicurezza dei propri uomini.

Pensa che dietro le conclusioni della commissione non ci sia solo la ricerca della verità?

A dire la verità, visto l’attacco così palese, mi sono chiesto se dietro non ci fosse qualcosa di personale, magari dovuto alla prossima tornata elettorale. Posso inoltre comprendere che aspettative tradite possano generare risentimento, con particolare riferimento alla proposta incredibile di investire l’INAIL del problema della sicurezza dei militari, con le conseguenti verifiche e controlli sulla sicurezza degli stessi, in guarnigione, in addestramento ed addirittura in operazioni, che ne sarebbero scaturite. Un atto, quindi, che avrebbe dimostrato una rancorosa sfiducia per le Forze Armate, rifiutando di riconoscere al mondo militare una specificità che lo rende diverso in tutto da qualsiasi altra organizzazione o altra istituzione dello Stato.

Lei generale, quindi è critico sull’applicazione delle normali norme di sicurezza all’ambiente lavorativo militare?

Lo sono quando si parla di attività operative, dove normalmente sono chiamati ad operare i militari. A questo proposito, però, mi permetta di aggiungere, che tanta sollecitudine dei commissari sarebbe stata benvenuta se solo avessero avuto l’umiltà di riconoscere quello che è noto in tutti i Paesi del mondo: cioè, che la prima misura di sicurezza per i soldati è rappresentata dall’addestramento, non dalla rinuncia allo stesso perché “pericoloso”. È l’addestramento, infatti, quello credibile, realistico, duro e continuo a metterli in condizioni, una volta in operazioni, di reagire con efficacia ed automatismo alle minacce e non il rispetto di assurde norme di sicurezza dettate da qualche esperto in antinfortunistica. Norme, queste ultime, che costringono già da ora il soldato ad una sistematica disobbedienza alle stesse, in quanto impossibili da applicare quando si fa sul serio. Quello del soldato, infatti, non è un mestiere come un altro nel quale si trova a fronteggiare la banale incidenza del caso o della sfortuna. Insomma, il pericolo principale che affronta non è la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia del datore di lavoro, ma una volontà “assassina” che esercita coraggio, professionalità, intelligenza e spirito di sacrificio spinto spesso fino all’eroismo al solo scopo di colpirlo.

Secondo Lei la commissione non ha in realtà avuto lo scopo di venire incontro ai militari?

Paradossalmente, la strada scelta dai volenterosi parlamentari della commissione è stata esattamente l’opposta: con motivazioni surreali si è ridotta a livelli decisamente insufficienti la disponibilità di aree addestrative, svalutate ideologicamente a bubboni inquinati da bonificare a cura delle Forze Armate anche se, come in alcuni casi, ospitano famiglie ultracentenarie da record mondiale, come nel caso di Perdas de Fogu in Sardegna; baia scampata all’urbanizzazione selvaggia che ha distrutto alcune delle aree più belle dello Stivale proprio perché riservata ai militari.

Se effettivamente i commissari si sentivano così preoccupati della sicurezza del nostro personale, si sono chiesti quanti colpi hanno sparato in addestramento i militari che manderemo in Niger tra poco tempo? Si pongono il problema di quante munizioni, quante parti di ricambio per i propri mezzi hanno a disposizione in alcune delle aree più delicate del nostro spicchio di mondo? È per loro rilevante sapere quante esercitazioni vengono fatte a premessa dell’impiego? O basta loro sapere che i Comandanti compilano un bel Documento sulla Valutazione del Rischio che ponga attenzione all’altezza dei gradini e delle altane, all’abilitazione al “lavoro in quota” delle sentinelle, alla qualità dell’aria ed ai turni di riposo, senza considerare la minaccia vera, quella armata ed intelligente della controparte che affronteranno? Insomma, sono consapevoli dell’opera di rimozione ideologica della realtà di cui si sono resi colpevoli e che costringerà il prossimo governo, di qualunque colore sia, a porre rimedio a guasti che potrebbero privarci di uno strumento indispensabile per non scomparire, per non affondare nel Mare ex-Nostrum nel quale a malapena galleggiamo ancora? Hanno operato come se le Forze Armate fossero cosa loro, dimenticando che sono patrimonio di tutto il nostro popolo, incluso quello ormai scomparso che ha letteralmente costruito il benessere che stiamo godendo e dilapidando e che considerava i soldati propri figli, non figliastri.