Zavorrata del Montello: percorso di memoria, civiltà e cameratismo

(di Giusy Federici)
12/06/17

Sempre più partecipanti, chi per gareggiare e chi solo per camminare tra i sentieri e i vigneti che furono teatro della Grande Guerra. Qui, a Giavera del Montello, vicino Treviso, per la sesta edizione di quello che è ormai un appuntamento consolidato e sentito, paracadutisti di tutta Italia si sono ritrovati, il 10 e 11 giugno, per la Zavorrata del Montello, organizzata dall’Associazione nazionale Paracadutisti d’Italia, ANPd’I di Treviso.

La zavorrata è un percorso a piedi di 17 chilometri su sterrato e asfalto, tra salite e discese, alcune micidiali, con dieci chili sulle spalle. Soprattutto, è un percorso di appartenenza, di fratellanza, di condivisione. Nessuno è lasciato indietro. Per questo chi gareggia correndo lo fa in coppia, perché ci si aiuta, se uno non ce la fa l’altro si ferma. Ed è lo stesso per chi viaggia in gruppo, un esempio per tutti la squadra di Trieste che ha marciato in gruppo, compatta. I numeri parlano di circa duecento persone complessivamente, tra chi era in gara o solo in cammino. Luigi Bacco e Nicola Federici, di Verona, sono stati i primi a tagliare il traguardo.

La sezione ANPd’I di Roma, il gruppo più numeroso con 19 partecipanti insieme al presidente Adriano Tocchi, si è piazzata molto bene nella classifica, con il terzo posto, ex aequo con la squadra di Lodi, dei paracadutisti istruttori Nicola Trusiani e Giacomo Galati. Quest’anno è stato istituito un premio speciale per le donne e anche qui Roma ha fatto la parte del leone, con il primo posto delle paracadutiste Silvia Pagnotta e Virginia Moranti (foto).

Tutti hanno fatto base a Villa Wassermann, il cui parco fu teatro della battaglia del Solstizio del 19 giugno 1918. Il pomeriggio di sabato è stato dedicato al ricordo dei caduti, con una cerimonia al cimitero inglese, presente anche il console britannico. La domenica, una mattina caldissima già dalle prime ore, si è svolta la zavorrata, un fiume di baschi amaranto applauditi dalle signore e seguiti per un po’ dai bambini del posto, con stupore e allegria.

Quello intorno a Giavera del Montello è un percorso storico realizzato con la collaborazione del Museo emotivo della Grande Guerra. Qui, se si prova a guardare con occhi antichi, a immaginare come poteva essere la zona cent’anni fa, sembra quasi di vederli, quei soldati grazie ai quali dobbiamo l’essere ancora liberi, quei soldati che non hanno esitato un istante a lasciare le case, la famiglia, le campagne e partire per il fronte, a combattere per un nemico sconosciuto, per una Patria nata da pochi decenni, che a malapena conoscevano però sentivano come propria e l’hanno onorata, come fosse una madre.

Lungo il percorso, la memoria coincide con l’emozione, perché si incontra il monumento dedicato al grande aviatore Francesco Baracca, che fu abbattuto proprio durante la battaglia del Solstizio e i cui simboli erano l’ippogrifo e il cavallino rampante e proprio quest’ultimo è stato ripreso e adattato da Enzo Ferrari, come segno grafico per la sua mitica scuderia automobilistica. Si riprende il cammino e, poco distante, gli onori sono tributati anche al Sacrario del Montello, che ospita 9.325 caduti, 3.226 ignoti, morti durante la Grande Guerra. A metà tragitto, dietro una curva c’è uno dei più grandi motivi d’orgoglio di essere italiani, il monumento ai Ragazzi del ’99, quelli che erano i diciottenni nel 1917, quelli che, dopo la disfatta di Caporetto, furono chiamati che erano quasi bambini e dovettero crescere in fretta, quelli che all’Italia, alla Patria hanno regalato il sangue e la gioventù.

Alla zavorrata del Montello si corre, ma non solo fisicamente: si corre anche su un filo che è quello della memoria condivisa, senza schieramenti contrapposti e ideologie politiche, dove gli unici colori ammessi sono quelli del tricolore, che appartengono a tutti. E si corre sul filo del ringraziamento, della gratitudine per chi ha dato onore all’Italia compiendo il proprio dovere. Idealmente, come anche fisicamente, quei chilometri di zavorrata ci ricongiungono a loro, ce li rendono ancora presenti.