Un 2 giugno dedicato ai marò, ai caduti ed anche alla repubblica

02/06/14

Questa mattina mi sono posto un problema andando a vedere la parata: cosa raccontare? Di certo le immagini che avrei potuto realizzare non avrebbero mai potuto competere con quelle delle truppe della Rai schierate come sempre al servizio delle istituzioni (e degli "istitutori").

Avrei potuto raccogliere i commenti della gente comune ma già sapevo che lo avrebbe fatto ogni tg con la solita sagra della banalità.

Ho deciso così di provare a raccogliere i pensieri, il più possibile sinceri e spontanei (ovvero anonimi), tra i concittadini in divisa che attendevano, con pesanti divise e sotto un sole quasi estivo, di marciare di fronte al Paese.

Dal primo "ci è stato ordinato di non parlare con i giornalisti", ho capito che il microfono era di troppo.

Ho così passeggiato per un'ora senza minacciosi strumenti tecnologici per scambiare qualche battuta tra i vari gruppetti in attesa per sapere semplicemente a chi si sarebbe rivolto il pensiero durante la cerimonia ed elaborare un'approssimativa statistica.

Al primo posto nei commenti si sono imposti i due marò ancora in India. Non una maggioranza assoluta, ma significativa e con intensità variabile nei sentimenti. Si è andati dal biasimo per come viene condotta la vicenda alla delusione (talvolta profondissima) per il comportamento della dirigenza militare.

Quella sui due fucilieri di marina è stata una risposta frequente tra i dipendenti del ministero della difesa (o assieme del ministero della difesa e dell'interno...) ma - sorpresa! - rara tra quelli che pur indossando una divisa, veri "militari" non sono.

Al secondo posto ci sono i caduti, i colleghi persi nelle operazioni, e le persone care scomparse. Questo fa comprendere l'intima sacralità che, al di là del rito, rappresenta il 2 giugno.

Al terzo posto c'è l'orgoglio per la divisa e l'appartenenza alle forze armate / istituzioni dello stato.

Genuino ed effervescente l'entusiasmo degli allievi delle varie scuole ed accademie presenti: l'eccitazione per un percorso che li vedrà al lavoro, anzi "al servizio dell'Italia", per i prossimi 40/50 anni riporta alla memoria l'energia dei vent'anni che tutti abbiamo avuto.

L'ultimo sparuto gruppetto mi ha riproposto un "ci è stato ordinato di non parlare con i giornalisti".

Peccato. Se ci si abitua a stare zitti troppo a lungo poi, anche quando si è generali od ammiragli e passa la paura di essere trombati, si continua a farlo.

Andrea Cucco