Libro Bianco della Difesa, qualche perplessità

13/04/15

A breve dovrebbe essere ufficializzato il Libro Bianco della Difesa, per ora preceduto da linee guida pubblicate “online”, molto ermetiche e presentate ricorrendo ad un linguaggio complesso, comprensibile solo ad una modesta cerchia di “addetti ai lavori”.

In tempi passati l’'uso del condizionale era d’obbligo nella redazione dei documenti ufficiali dei vari SM, prerogativa che dava ampi spazi di interpretazione e possibilità di rimodulare “senza danno” posizioni e valutazioni. Nel redigere le Linee Guida, invece, questa tradizione è decaduta, sostituita da un modo verbale diverso, solo presente e futuro. Un testo involuto e quindi preda di ogni interpretazione ritrattabile in qualsiasi momento. Un risultato migliore di quanto la tradizione del “gerundio” avrebbe consentito e destinata a lasciare poco spazio a possibili soluzioni condivise, ma rimandando a pochi la decisione finale.

Un testo la cui stesura, con buona certezza, non è stata affidata ad un Gruppo di Lavoro articolato composto da militari e tecnici del settore, integrati da professionalità consolidate della società civile e che evidenzia anche la mancanza del supporto di pensiero della rappresentanza militare, il COCER (v. articolo).

Una conferma della volontà di voler gestire il problema solo sul piano politico, relegando i tecnici del settore a meri esecutori passivi. Un approccio assolutamente diverso da quello seguito da quasi tutti i maggiori Paesi occidentali impegnati a riorganizzare uno strumento militare che in futuro sarò destinato a coniugare la congiuntura economica con l'esigenza di affrontare in maniera affidabile le nuove minacce globali che si affacciano all’orizzonte.

Un’'ermeticità di linguaggio che non chiarisce nemmeno in maniera esplicita ed inequivocabile quali saranno le prospettive lavorative dei cittadini che decidessero di arruolarsi. Una grave carenza che se confermata nel testo finale indurrebbe disaffezione per le FFAA, penalizzando pesantemente gli arruolamenti.

Chi sceglierebbe, infatti, di fare il militare con la prospettiva di interrompere improvvisamente il rapporto di lavoro senza che lo Stato garantisca nulla sul piano lavorativo?

Un dubbio indotto da un passaggio importante delle Linee Guida di un documento che dovrebbe raccontarci come saranno le nostre FFAA nei prossimi quindici anni, quando si fa riferimento all’'esigenza di disporre di Forze Armate giovani.

Forse si pensa ad un tipo di servizio come avviene in molti Paesi europei, ad esempio con una ferma ventennale?

Un principio condivisibile che tiene conto del peculiarità dello status militare ma che nello stesso tempo manca, però, di una precisazione fondamentale. Cosa faremo fare ai nostri militari dopo venti anni di servizio?

Si sarà disposti a riconoscere la peculiarità dello status come avviene in molti Paesi europei ricollocando il personale in altre mansioni pubbliche o saranno semplicemente collocati in congedo?

In verità ci saremmo aspettati, quindi, di leggere Linee Guida più lineari, meno ermetiche nei contenuti, più concrete nella analisi dello scenario politico-strategico e più esplicite sul modo con cui si intenderà interagire con le realtà internazionali di cui l’Italia fa parte. Solo un cenno sfumato e generalizzato ai doveri conseguenti all’appartenenza alla NATO, nessun riferimento preciso alle Nazioni Unite, poco, e comunque nulla di concreto, all'’Unione Europea.

Non si legge nemmeno la volontà di affrontare temi importanti, come quello di un'’auspicabile modifica della Costituzione che consenta al Consiglio Supremo di Difesa di operare anche come Consiglio di Sicurezza, a totale vantaggio della sicurezza nazionale qualora minacciata da eversione interna o terroristica, soluzione già in essere in molti Paesi europei.

Nessun cenno nemmeno sull’'opportunità di prevedere una Riserva / Guardia Nazionale dislocata sul territorio su base areale, pronta e formata per essere impiegata anche Fuori Area in interventi di stabilizzazione a “bassa valenza” e sul territorio nazionale anche e soprattutto in caso di pubbliche calamità. Si fa, invece, riferimento all’intenzione di preparare le nuove FFAA “ad uno stretto coordinamento con il personale diplomatico e di altri dicasteri, ma anche di organizzazioni internazionali, governative e non”.

Una dichiarazione di intenti, questa ultima, che - per specifica esperienza pregressa di chi scrive - potrebbe essere destinata a fallire in quanto dichiarata unilateralmente in un documento alla cui stesura non è detto che abbiano fornito un supporto di pensiero i rappresentanti delle realtà con cui si auspica il coordinamento. Una scelta completamente diversa da quelle adottate da altri Paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e gli USA.

Si legge, invece, che probabilmente l'’intero Libro Bianco sarà elaborato sviluppando un teorema fondato su astrusi acronimi matematici (“I” ed “E”, elevato alla terza potenza): “Interforze, Internazionale, Interoperabile” e che sia “Efficace, Efficiente ed Economico”. Parametri poco coerenti fra loro nel momento che la collocazione internazionale e l'’interoperabilità mal si coniugano con l’'economicità e l’'efficienza. Peraltro nulla è detto sulla riorganizzazione formativa che dovrebbe portare a conseguire un siffatto obiettivo attraverso un addestramento attualizzato e multidisciplinare, sicuramente costoso ma indispensabile in termini di costo / efficacia. Nemmeno, poi, un riferimento all'esigenza di formazione e sviluppo nel campo della capacità di una "cyberdefence", autonoma nella produzione dei sistemi di sicurezza e che accresca l'affidabilità dei sistemi informativi dello Stato e dei grandi operatori.

Quasi certamente un’elaborazione affidata ad una cerchia ristretta di “pensatori” dando anche poco spazio agli Stati Maggiori di Forza Armata, seguendo un metodo di lavoro molto diverso da quello applicato nei maggiori Paesi europei. In Francia, per esempio, per la stesura del Libro Bianco della Difesa avviata nel 2013 per realizzare un modello di difesa valido fino al 2025 è stata istituita una Commissione composta da 3 deputati (Presidente della Commissione Difesa e due membri della stessa) e 3 senatori (Presidente e due vicepresidenti della Commissione Esteri), responsabili delle amministrazioni della Difesa, degli Affari Esteri, dell'Economia e finanze, dello Sviluppo produttivo, dell'Interno, della Ricerca, nonché numerose personalità qualificate del mondo scientifico (come la Direttrice dell'EDA omologo francese del CNR), dell'Università, Consiglieri di Stato e della Corte dei Conti. Inoltre ne hanno fatto parte anche un rappresentante della Germania e uno del Regno Unito, per sottolineare l'apertura dei lavori ad una piena dimensione europea ed internazionale.

La Commissione francese incaricata della stesura del Libro bianco ha sviluppato il lavoro istituendo gruppi di lavoro tematici, quali: contesto strategico, quadro d'azione e obiettivi politici, sicurezza nazionale, informazione, strategia di ingaggio e coerenza dei sistemi di forza, tecnologia e industria, economia della difesa, uomini e le donne della difesa e sicurezza nazionale

Inoltre, il Ministero della Difesa francese ha dato ampia voce al proprio personale aprendo nella rete Intranet (Intradef) un sito dedicato alla riflessione sul Libro Bianco consentendo al personale civile e militare della Difesa (compresa la Gendarmerie), di seguire i lavori ed esprimere pareri, anche sotto pseudonimo. Contributi di pensiero, soprattutto in materia di risorse umane, raccolti e consegnati alla Commissione che le ha recepiti ed inseriti nel Libro Bianco.

Leggendo le Linee Guida del Libro Bianco della Difesa italiana non emerge, invece, un concorso di pensiero così allargato. Piuttosto, si ha l’impressione che sia mancato l'auspicabile coagulo di expertise dei vari attori protagonisti nel settore sostituito dall'enunciazione di intenti, riconducibili ad un gruppo di “intelligenze illuminate” non per esperienza specifica, ma per incarico istituzionale rivestito.

Un dubbio rilevante indotto soprattutto dall’assenza di riferimenti su come si intenda rivitalizzare l’apparto formativo militare e come si intenda gestire il ruolo di una futura rappresentanza militare. Un COCER del domani che ormai in tutte le FFAA delle democrazie evolute costituisce una vera e propria rappresentanza sindacale.

Molti, quindi, i “buchi neri” nell’'ermeticità delle Linee Guida. In particolare come accennato in precedenza nel settore della formazione ed in quello della rappresentanza militare. Per quanto attiene all’'aspetto addestrativo poco viene detto e con ogni probabilità poco spazio troverà nella stesura finale del testo. Si parla solo di “elemento umano che è e rimarrà centrale in ogni soluzione potenzialmente individuabile al fine di rendere pienamente efficace il modello valoriale ed operativo che sarà definito appare ineludibile interrogarsi sulla coerenza, attualità ed economicità dell’'attuale impostazione formativa”. Concetti ermetici che poco o nulla dicono.

Nulla è specificato sul diritto dei militari di poter avere una rappresentanza sindacale, disattendendo un aspetto importante della futura riorganizzazione di FFAA del futuro, destinate ad avere un ruolo attivo in una democrazia moderna. Tutto ciò nonostante che i diritti sindacali rappresentano una legittimità costituzionale anche per i militari e nonostante i pronunciamenti della Corte Europea dei diritti umani che ha depositato due sentenze affermando in entrambe la violazione dell’Articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte degli Stati che vietano la costituzione di sindacati o di associazioni professionali tra i militari.

Un diritto sancito fin dal 1981 dalla “Convenzione relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione di impiego della Funzione pubblica entrata in vigore il 25/02/1981, (Convenzione OIL C151/78), che all’'articolo 1 riporta testualmente: “La presente convenzione si applica a tutte le persone impiegate dalle autorità pubbliche, nella misura in cui non vengono loro applicate delle disposizioni più favorevoli contenute in altre convenzioni internazionali del lavoro” - e puntualizza - “la legislazione nazionale determinerà la misura in cui le garanzie previste nella presente convenzione si applicheranno alle forze armate e di polizia”.

Se questo tipo di dialogo sociale ben regolato funziona in Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania e molti altri Paesi, non si comprende perché non dovrebbe essere possibile anche in Italia. Peraltro, il Presidente di Euromil, l'’organizzazione che rappresenta sindacati e associazioni militari in Europa, ha recentemente espressamente dichiarato che l'Italia dovrebbe prevedere i sindacati per i militari non perché "l'Europa lo vuole", ma perché l'Italia rispetta la legislazione internazionale!

Solo un cenno al problema della “peculiarità militare”, ma zero su come essa potrà essere garantita in assenza di rappresentanze di categoria con vere e proprie connotazioni sindacali. Il problema viene affrontato, invece, con una circonlocuzione di parole che nulla chiariscono quando si parla di “tutela e valorizzazione e dei vincoli di ordine umano e sociale che la stessa (peculiarità militare) sottende”.

L'’articolo 68 delle Linee Guida esprime, piuttosto, un concetto arcaico laddove tratta il riconoscimento della peculiarità militare con una frase che non è azzardato definire sibillina: “riconoscendo a tale condizione una differenza tanto marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che fino ad ora ha condizionato entrambi i domini”. Una dichiarazione di principi che lascia intendere l’'intenzione dell’'assoluta esclusione della possibilità dell’istituzione di un sindacato militare che garantisca dignità e morale al nostro personale. Si è preferito, invece, ritornare su un concetto arcaico, quello di "superare il rapporto di genere e di specie" che rimanda le FFAA indietro di almeno 20-30 anni, lasciando intendere che tutto sarà attualizzato con decisioni verticistiche senza coordinarsi con una rappresentanza che rappresenti l’'elemento vitale di qualsiasi apparto militare: le risorse umane.

Un diritto che invece almeno 23 Nazioni riconoscono alle loro FFAA e che lasciano ancora una volta quelle italiane al “palo” nonostante che sempre di più saranno destinate a cooperare con realtà che prevedono nel loro ambito l’esistenza di organismi con il compito di tutelare la dignità del personale.

Un documento che ancora una volta evidenzia la volontà di riscrivere l’organizzazione del sistema Difesa / Sicurezza del Paese affidandola principalmente al pensiero di realtà politiche, escludendo la riflessione di altre oggettività nazionali alle quali si fa pur'anche riferimento come possibili componenti del network operativo del futuro e, soprattutto, escludendo il coinvolgimento del COCER che rappresentala la realtà delle nostre FFAA nelle caserme, negli aeroporti e sulle navi.

Un’ica speranza: una volta che il Libro Bianco sarà assegnato alla valutazione del Parlamento, si auspica che emergano queste dicotomie e si ricorra almeno al parere consultivo di chi in base all'’esperienza acquisita potrà fornire un supporto di pensiero costruttivo sulle esigenze di formazione delle nostre FFAA e di coloro che come parte attiva dei COCER vivono quotidianamente i problemi ed i disagi dei colleghi operativi.

Un lavoro integrativo assolutamente necessario, se si vorrà evitare che ancora una volta le nostre FFAA siano “diverse” da quelle di altri Paesi con le quali saranno sicuramente chiamate ad operare all’'emergenza.

Fernando Termentini

(foto: archivio Ministero della Difesa)

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