Bombe "italiane" all'Arabia Saudita: il bue che dice cornuta alla formica

(di Andrea Cucco)
30/12/17

È in atto un attacco all'Italia: indegno, vergognoso e - cosa peggiore - tremendamente ipocrita.

Da ieri i media riprendono un'inchiesta, tradotta in un video dal The New York Times (vedi link), che accusa il nostro Paese di un traffico di bombe con l'Arabia Saudita che - spolettate - esploderebbero in Yemen.

La gravità non risiede nella notizia sulla produzione in sé - segreto di Pulcinella acclarato e oramai reso pubblico da anni di articoli e trasmissioni televisive - bensì nel fatto che le accuse provengano da un giornale statunitense, da un Paese che, solo la scorsa primavera, ha sottoscritto un accordo per forniture militari del valore di 110 MILIARDI di dollari (v.articolo)! Non parliamo quindi dei milioni del caso specifico...

Sottolineiamo inoltre che l'azienda sarda produttrice e “sotto accusa” è mera sede manifatturiera di proprietà di Rheinmetall storico gruppo tedesco degli armamenti (presente sui campi di battaglia da oltre un secolo...).

Sentir affermare nel video che aerei "sauditi" sganciano bombe "italiane" quando quelli nelle immagini sono F-15 (velivoli prodotti negli USA!) è semplicemente ridicolo ed offensivo. Credono che il livello di intelligenza del pubblico sia così basso?!

Apriamo una parentesi. Che la guerra in Yemen sia una porcata è palese, lo sosteniamo da tempo (v.articolo) e nemmeno controcorrente: a differenza di altri conflitti, neanche esiste una corrente, solo colpevole silenzio.

Il senatore M5S Roberto Cotti ha affermato di aver fornito il materiale al giornale americano: "Dopo mesi di stretta collaborazione con il NYT, a cui ho fornito video, foto, documentazione, contatti, ecco ora l'inchiesta della prestigiosa testata americana. La denuncia è forte, le prove schiaccianti, le responsabilità del Governo italiano evidentissime. Un Governo che continua ad autorizzare l'export delle bombe nonostante le mie denunce, con ben 6 interrogazioni parlamentari a cui non si sono degnati di rispondere per cercare di giustificare il loro operato. Un impegno, il mio, finalmente premiato".

Il mondo delle forniture militari ha (o “aveva” almeno prima dell'ISIS...) come destinatari finali i governi e le relative forze armate. Parliamo di un business enorme che l'Italia, grazie alla retorica del “meno armi=più pace”, perde da decenni (assieme a migliaia di posti di lavoro) sbeffeggiata dalla concorrenza.

Qualche decennio addietro con la campagna contro le mine si fece chiudere un'azienda italiana leader internazionale del mercato, la Valsella. Quando (da parte italiana) si propose la produzione di ordigni che sarebbero divenuti inerti dopo un periodo di tempo, la risposta fu negativa e al “Ora smetterete anche voi?” ci fu sostanzialmente detto “Col cavolo! Ora produrremo pure la vostra quota di mercato!”. Al seguente Trattato internazionale di Ottawa contro le mine antiuomo aderirono infatti tutti i Paesi eccetto quelli produttori di mine: la concorrenza! Ma si sa, le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni...

Credo che, se si vuole lottare davvero per la pace o per ciò che si ritiene semplicemente giusto, si debba sempre fare di più. Come nel sopracitato precedente, è inutile sputtanare il proprio Paese facendo il gioco di altri che farebbero bene a stare zitti: almeno noi non aiutiamo i sauditi con nostre truppe e mezzi.

Se si lotta per fini umanitari si dovrebbe anche rischiare la propria pelle sul campo, non sul seggio. Una singola vita non ne varrà mai migliaia. Questo se è davvero per loro che ci si batte pubblicamente...