8 settembre 1943: la morte della Patria

(di Tiziano Ciocchetti)
08/09/19

All’indomani della caduta del regime fascista (25 luglio 1943). il Regio Esercito schiera sul territorio nazionale 20 divisioni di fanteria (Le divisioni LIVORNO, NAPOLI, AOSTA e ASSIETTA sono bloccate in Sicilia in seguito allo sbarco degli Alleati il 10 luglio), 4 alpine, 2 corazzate, una motorizzata, una di paracadutisti, oltre a 18 divisioni adibite alla difesa costiera. Dalla Francia e dalla Croazia sono in rientro le divisioni LUPI DI TOSCANA, RE e LEGNANO.

Tutte assieme formano una forza di 500.000 uomini e, all’insediamento del governo Badoglio, devono fronteggiare la 10ᵃ Armata tedesca del Feldmaresciallo Kesselring, composta da composta da 8 divisioni le cui più efficienti – la 15ᵃ e la 29ᵃ Panzergrenadier, la GOERING equipaggiata con carri pesanti e i Fallschirmjäger – sono impegnanti in Sicilia.

Nel resto della penisola la 90ᵃ Panzergrenadier è stanziata in Sardegna, la 3ᵃ in Toscana, la 6ᵃ in Campania e la 26ᵃ in Puglia.

La disparità numerica a favore del Regio Esercito è enorme, inoltre si devono aggiungere anche i reparti appartenenti ai Carabinieri e alla Guardia di Finanza.

La Regia Marina, nonostante i rovesci subiti nel Mediterraneo, è ancora molto potente, e la stessa Regia Aeronautica ha ancora sufficienti velivoli per contrastare efficacemente i reparti di volo della Luftwaffe dislocati in Italia.

Nelle ore convulse che seguono alla caduta di Mussolini nessuno della classe dirigente del Paese – il Re, Badoglio, il Capo di stato Maggiore Ambrosio – ha il coraggio di prendere l’iniziativa: chiudere le frontiere, dichiarare unilateralmente l’armistizio e procedere al disarmo dell’Armata di Kesselring. Nessuno si rende conto che la Patria è in agonia. Viene fuori l’Italia dell’opportunismo, l’Italia serva di due padroni, che delega la propria salvezza allo straniero.

Un’Italia perfettamente incarnata in Vittorio Emanuele III che nel 1922 ha dato l’incarico di formare un governo a Mussolini, che nel 1938 ha firmato le leggi razziali, che nel 1940 ha firmato la dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra (tra l’altro a Londra c’erano i suoi ingenti depositi bancari che hanno contribuito a sostenere l’iniziativa americana Lend and Lease a favore degli inglesi).

Tolto di mezzo il Fascismo, Badoglio può dedicarsi alle “trattative” (in realtà una resa incondizionata) per giungere ad un armistizio con gli Alleati, nonostante in tutti loro alberghi un terrore ancestrale nei confronti della possibile reazione tedesca. Intanto quella di Badoglio è una vera e propria dittatura militare: le direttive emanate, in materia di ordine pubblico, sono più dure di quelle fasciste (Carlo Vallauri nella sua opera Soldati scrive che nei primi 45 giorni di governo Badoglio ci furono più vittime che nei 20 anni di tribunale speciale fascista), anche gli italiani che scendono per strada a manifestare il loro favore alla decisione del Re di estromettere Mussolini vengono presi a fucilate.

Comincia il teatrino delle assurdità: vengono instaurate umilianti colloqui con gli Alleati, mentre si chiede all’alleato (ancora per poco) tedesco di inviare consistenti rinforzi in Italia per difenderla dagli invasori. Lo stratega Badoglio crede così di aver ingannato i crucchi, dimostrando la ferma intenzione di proseguire la guerra al fianco di Berlino.

Così ingenti forze germaniche affluiscono, per tre settimane, attraverso il Brennero. I reparti della Wehrmacht occupano le principali arterie stradali, le stazioni ferroviarie, glia aeroporti. Ambrosio assiste impotente, i tedeschi stanno occupando il Paese ma Badoglio si preoccupa di tenere segrete (ma da tempo a conoscenza di Berlino) le trattative in corso con gli Alleati, per poi pugnalare alle spalle il vecchio alleato.

A metà agosto l’occupazione della penisola è ormai ultimata. I tedeschi hanno inviato 17 divisioni e 2 brigate dal Brennero alla Calabria, il piano per la sottomissione dell’Italia è denominato Alarico.

Tuttavia, visti i contrasti tra Rommel e Kesselring circa lo schieramento operativo dei reparti, ci sarebbero ancora margini di manovra. Un deciso schieramento delle divisioni italiane a difesa di Roma avrebbe consentito di proteggere la capitale, avere il meridione libero e forse imprimere un altro corso alla guerra.

Ma in quel mese di agosto del '43 gli uomini che dovrebbero avere il compito di dirigere la Nazione non muovono un dito, il solo obiettivo che li anima è quello di salvare il proprio potere (oggi si direbbe "la poltrona"). Nella loro visione il popolo italiano era del tutto sacrificabile.

Il 2 settembre (il giorno 3 ci sarà la firma dell’Armistizio da parte di Eisenhower e l’inviato del Governo Castellano) Ambrosio dirama la tristemente famosa Memoria 44 indirizzata ai comandi dei Corpi d’Armata: è un apogeo di ambiguità. Nella circolare si spiega che i comandi dovranno provvedere a difendere i valichi sulla frontiera nord-occidentale, a liberare da presenze ostili quella nord-orientale, a mantenere le principali basi marittime e a garantire le comunicazioni della Sardegna e della Corsica. Non c’è alcun accenno ai tedeschi. L’effetto è di generare ulteriore confusione tra i comandi militari, gettandoli nell’indecisione, nella paura di prendere iniziative individuali.

Alla proclamazione dell’Armistizio, l’8 settembre, Ambrosio dovrebbe diramare l’ordine di attaccare i tedeschi (lo farà tre giorni dopo, al sicuro a Brindisi insieme agli altri dirigenti del Paese, ormai sotto la protezione dell’VIII Armata di Montgomery), ma nessuno si pronuncia. Anzi, quel fatidico giorno viene respinta la proposta di Roatta di diffondere una nota in cui si dichiarano nemici i tedeschi.

A questo punto Badoglio assume due iniziative: l’una più assurda dell’altra. Fa trasmettere per radio il telescritto 24202 in cui ordina di avvisare i comandi germanici dei movimenti delle truppe italiane e di proibire attacchi nei loro confronti. Ogni atto di forza da parte dei reparti italiani deve essere finalizzato unicamente all’autodifesa.

La seconda è quella di prendere direttamente contatto con il Feldmaresciallo Kesselring per lamentarsi dei comportamenti dei soldati germanici e per proporre una specie di tregua. Badoglio ha un solo pensiero: salvarsi la pelle circuendo il vecchio alleato.

In quei convulsi giorni, sono centinaia gli episodi in cui i soldati italiani, in moto di orgoglio, scelgono di combattere, nonostante l’ignominia dei capi.

L’unico interesse per chi combatte è la Patria, una Patria né fascista né antifascista. Si muore per difendere i compagni, per difendere l’onore dell’Italia, gettato nel fango dalla meschinità di una classe dirigente che pensava solo al proprio tornaconto.

Foto: web / Bundesarchiv