La violenza sessuale in ambito militare: competenza ordinaria o militare? Ecco cosa si rischia...

(di Marco Valerio Verni)
13/03/17

È dei giorni scorsi la notizia riguardante l'apertura del processo penale, presso il tribunale ordinario di La Spezia, a carico di due militari che, secondo l'ipotesi accusatoria, si sarebbero resi colpevoli di aver commesso violenza sessuale a danno di alcune loro sottoposte, mentre erano in servizio, all'epoca dei fatti, sulla fregata Grecale.

Al di là del caso richiamato, sul quale, in onore al principio costituzionalmente garantito della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato, non si potrà che aspettare l’esito del relativo iter processuale, non essendo, quello dell’episodio richiamato, l’unico di cui si abbia (avuta) notizia all’interno delle Forze Armate, potrà risultare utile, però, analizzare in via generale in cosa consista questo tipo di reato, quando sia configurabile, quali siano le pene previste e chi debba su di esso giudicare quando, per l’appunto, ad esserne protagonisti (nella duplice veste di vittima ed autore) siano dei militari, all’interno di luoghi militari.

La previsione normativa: l’art. 609 bis del codice penale. Cosa si rischia

Il delitto in questione è previsto e punito dall'art. 609 bis del codice penale e, a seguito della riforma introdotta dalla legge numero 66 del 15 febbraio 1996 (prima della quale, peraltro, la violenza sessuale era “scorporata” in due distinte fattispecie criminose: atti di libidine violenti e violenza carnale), rientra attualmente tra i delitti contro la libertà sessuale (a loro volta ricompresi nella più ampia categoria dei delitti contro la libertà individuale), intesa oggi - finalmente - come vero e proprio diritto della persona umana, disponibile solo da parte del titolare e non più collegata ad una valutazione moralistica.

Dal tenore letterale della norma richiamata, secondo cui “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”,

si evince che:

  1. si tratta di un reato comune, potendo la condotta ad essa sottesa essere compiuta da “chiunque”;

  2. possono, di contro, essere vittime della suddetta (condotta), tanto gli uomini quanto le donne, con la conseguenza che rientrano nella sfera di applicazione del reato in esame anche eventuali condotte omosessuali;

  3. è un delitto a forma vincolata, perché il fatto di reato consiste necessariamente nel compimento di atti sessuali in contrasto con la volontà del soggetto passivo (infatti, laddove, al contrario, venisse meno il dissenso, verrebbe, di conseguenza, meno la c.d. tipicità del fatto).

Quanto alle condotte punibili contemplate dalla norma, esse sono di due specie: da un lato, la fattispecie di violenza sessuale per costrizione, dall'altro quella per induzione.

Riguardo la prima, essa può essere perpetrata attraverso violenza (da intendersi come l’esercizio di forza fisica per contrastare la resistenza della vittima), minaccia (che si attua attraverso l'espresso avvertimento che in caso di opposizione alla violenza verrà arrecato un danno alla vittima o ad altre persone o cose) o abuso di autorità (posto in essere attraverso il coartare la volontà del soggetto utilizzando la propria posizione di superiorità o preminenza).

Riguardo la seconda, invece, essa (induzione) deriva dall'abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima o dall'inganno circa la propria identità.

Per la sua configurabilità, occorre certamente - come per ogni tipo di reato - indagare caso per caso, perché se da una parte è pressoché indubitabile che, in tale fattispecie, possano rientrare tutti quegli atti rivolti a zone erogene del corpo di chi ne è fatto oggetto, dall’altra, “la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci" va valutata nel contesto complessivo, tenendo conto dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte e di ogni determinazione della loro sessualità (come ben evidenziato nella sentenza emessa dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione, numero 41469/2016, del 13.04.16, depositata il 4.0.2016): in tale ottica, possono rientrare in questa fattispecie criminosa, diversi comportamenti che, escludendo quelli più eclatanti ed oggettivi, possono andare dalla pacca sul sedere data tra la folla, allo strofinarsi sul c.d. lato “b” della vittima, al bacio sul collo.

Le circostanze aggravanti: l’art. 609-ter del codice penale

L'articolo 609-ter c.p. prevede delle circostanze al ricorrere delle quali la pena prevista in generale per la violenza sessuale sia aggravata: infatti, è prevista la reclusione da sei a dodici anni se i fatti sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto quattordici anni; con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale; nei confronti di persona che non ha compiuto sedici anni e della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore; all'interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa; nei confronti di donna in stato di gravidanza; nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza; se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività; se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

La pena è ulteriormente aggravata (da sette a quattordici anni) se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto dieci anni.

Istituti processuali

La competenza per il reato in questione, stante l’elevata pena prevista (da cinque a dieci anni), è del Tribunale collegiale, il cui eventuale giudizio è, naturalmente, preceduto dal vaglio dell’udienza preliminare.

Esso è procedibile a querela della persona offesa, che la potrà presentare, in deroga ai termini ordinari all’uopo previsti (tre mesi), entro i sei mesi successivi al fatto, con l’ulteriore eccezione, rispetto alla disciplina ordinaria di tale istituto (querela), che essa, una volta depositata, diverrà irrevocabile; ove però l’autore della violenza sia un pubblico ufficiale (o l’incaricato di un pubblico servizio), la procedibilità è d’ufficio.

Salva la previsione di cui al terzo comma, è sempre obbligatorio l’arresto, mentre è consentito il fermo.

Se la violenza sessuale avviene in ambito militare: chi giudica?

Ferma restando la distinzione tra “reato militare” e “reato comune”, espressamente codificata nel nostro ordinamento (nel Codice penale militare di pace, l’art. 37, infatti, afferma che «è reato militare qualunque violazione della legge penale militare»), e quanto affermato dalla dottrina più autorevole, secondo cui, perché un reato possa qualificarsi come tale (ossia, militare), devono concorrere due elementi (cioè: un elemento formale - alias l’espressa previsione da parte di una legge penale militare - ed un elemento sostanziale - costituito dall’offesa di un interesse militare), oltre al requisito soggettivo dell’appartenenza alle Forze Armate, e posto che, attualmente, la violenza sessuale è prevista dal solo codice penale comune, di conseguenza, è agevole affermare che, anche nel caso in cui la fattispecie si possa manifestare (o si possa essere manifestata) tra militari, all’interno di una struttura militare (ivi compresa una nave o un aeromobile), la cognizione giurisdizionale apparterrà sempre al giudice ordinario, avuto riguardo, naturalmente, al locus commissi delicti (cioè, al luogo in cui sia - presuntivamente - avvenuta la violenza).

Costituzione di parte civile e patrocinio a spese dello Stato

La vittima di violenza sessuale, stante la peculiarità e la particolare odiosità del reato in esame, può, in deroga ai limiti di reddito (come previsto dall’art. 76 comma 4-ter del D.P.R. 115/2002), accedere al patrocinio a spese dello Stato, alla stessa stregua di quella (vittima) del reato di pedofilia, pedopornografia, tratta di esseri umani, nonché, dal 2013 (in ossequio alla Convenzione del Consiglio d’Europa firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011), di maltrattamenti in famiglia, di atti persecutori e di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili.

Ciò al fine di facilitare l’assistenza legale in suo favore, anche nell’ottica di una eventuale (doverosa, verrebbe da dire) costituzione di parte civile nel processo penale che, per la fattispecie in esame, è ammessa anche in capo al coniuge di essa (vittima, alias persona offesa), in quanto leso, a sua volta, nel proprio diritto all’intangibilità del rapporto coniugale e dell’onore e della dignità familiare (Cass. III, 21.07.2010, n. 28732).

(foto: U.S. Navy / U.S. Air Force)