Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori di Calabria (terza parte): impiego ed addestramento contro il terrorismo

(di Lia Pasqualina Stani)
21/02/18

L’Art.83 del TFUE (ovvero Trattato sull’Unione Europea e del Trattato sul Funzionamento dell’UE), ex Art. 31 del TUE (Trattato sull’Unione Europea), fa esplicito riferimento al terrorismo come “crimine grave”.

L’Art.88 del TFUE, assegna ad Europol, il compito di sostenere e potenziare l’azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell’applicazione della legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e nella lotta contro il terrorismo.

L’Europol (European Police Office ovvero Ufficio di Polizia Europea), operativa dal 1° luglio 1999, è l’agenzia finalizzata alla lotta al crimine dell’Unione Europea. Tra le sue numerose missioni, prioritaria in questi anni è la prevenzione e la lotta contro il terrorismo che, negli ultimi anni, rappresenta una minaccia considerevole sia per la sicurezza interna della UE, che per la sicurezza e l’esistenza dei suoi cittadini.

Con il “Modus Operandi Monitor”, l’Europol offre un ampio modello di attività in grado di valutare continuativamente gli eventi terroristici e le indagini nelle sfere del terrorismo, focalizzandosi su elementi specifici del “modus operandi” dei terroristi. Un quid pluris è dato dalla “rete di primo intervento”, con cui si offre assistenza a qualsiasi Stato Membro alle prese con un grave evento terroristico, mettendo in contatto esperti nazionali di questo Stato con una piattaforma internazionale di esperti antiterrorismo e di analisti di intelligence di Europol.

È possibile, in questo modo, accedere ad una banca dati internazionale di persone sospettate di terrorismo e di estremisti. Con la “rete di primo intervento” si offre anche una consulenza strategica di esperti di alto livello, in caso di attacco.

Riguardo le possibili future minacce dell’ISIS, nell’ultimo report di Europol sul terrorismo, emerge l’elevato rischio di attacchi jihadisti con droni esplosivi, armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. L’agenzia di contrasto della UE, mette in guardia sul rischio che la tecnica utilizzata già dal Califfato, in uso nelle “crisi in Iraq e in Siria”, possa ispirare altri arrivando anche in Europa. Sia l’Iraq che la Siria continuano ad essere la “palestra” per i gruppi dell’ISIS e di Al-Qaeda. Europol ritiene che entrambi abbiano “volontari, intenzione e capacità di mettere in atto attacchi di massa complessi in Occidente”. Anche se l’ISIS arretra on-line sulla produzione e la diffusione della sua propaganda, per le misure adottate dalle piattaforme dei social network, riesce comunque a sollecitare azioni, condividendo tattiche ed obiettivi.

Nello stesso report, si evidenzia il ruolo più operativo che le donne, assumono nelle attività terroristiche jihadiste in Europa, come anche i bambini o i giovani adulti.

Di rilievo è la relazione annuale che Europol fornisce sulle matrici terroristiche degli attentati suddivise in diverse categorie: la maggior parte degli attentati terroristici nella UE è legata a motivi etno-nazionali o separatisti. In numero minore seguono gli attacchi associati a gruppi di destra o attacchi terroristici motivati “religiosamente”. Tra coloro che sono stati arrestati per crimini terroristici, la maggior parte sono inclusi nella classificazione religiosa e poi seguiti dai separatisti.

Le cause principali del terrorismo afferiscono al contesto geopolitico più che al contesto religioso. Si riconduce spesso il fenomeno del terrorismo alla religione professata o presentata come una giustificazione delle azioni dei terroristi. Essere terroristi, oggi, non vuol dire essere islamici o praticare la religione islamica. Non bisogna perdersi in questi luoghi comuni. Diventare un terrorista jihadista spesso è indipendente dall’essere musulmano praticante o rigoroso. Molti terroristi sono europei convertiti, ex criminali e sbandati, emarginati sociali o piccolo-borghesi.

I terroristi contemporanei si radicalizzano in modalità “fai da te” ed operano in modo “swarming” ovvero come sciami e non per eserciti o cellule. Gli swarming sono strutture “network-centered” cioè cellule autosufficienti inserite in una delle reti di terroristi (networks) che condividono conoscenza, informazioni, tattiche e logistica a livello orizzontale e con riferimenti verticali a livello ideologico, di immagine, finanziario e di addestramento. Le reti terroristiche sono familiari, amicali o costruite sul campo nei combattimenti in Siria o in altri teatri del fronte terrorista. Raramente sono strutture rigidamente gerarchiche. Questo tipo di aggregazioni garantiscono flessibilità, elasticità e segretezza con una capacità offensiva superiore a quello di terroristi detti “lupi solitari”.

La radicalizzazione avviene anche, in carcere attraverso la rete o la frequentazione di associazioni radicali e quasi mai nelle moschee. Il processo di radicalizzazione essendo individuale e destrutturato è molto difficile da monitorare. Gli strumenti tecnologici e di comunicazione garantiscono di mantenere saldo il network e attraverso la propaganda mediatica gratuita terrorizzano l’opinione pubblica. I livelli gerarchici superiori, in Medio Oriente, garantiscono addestramento militare e finanziano questi terroristi. La conoscenza dell’Islam e delle tradizioni da parte dei terroristi è spesso superficiale, esteriore ed abbozzata. È concettualmente, oltre che moralmente, errato e fuorviante considerare ancora gli “attentatori” come i rappresentanti di tutti i musulmani nel mondo.

Contro il terrorismo occorre fare sicurezza a livello operativo e tattico, in quanto il terrorista contemporaneo è un obiettivo militare. Certamente non un obiettivo militare “classico” che si può colpire come si affronterebbe un obiettivo militare o con azioni controproducenti ed inefficaci.

Il continente europeo è sotto attacco dei terroristi islamici dal 2015: i fratelli Kouachi prima con l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, e il commando guidato da Abdelhamid Abaaoud dopo con la tragedia al Bataclan, hanno cambiato il modo di “operare” dei terroristi. Gli scenari di questi attentati sono stati tra i peggiori che potessero capitare alle Forze Speciali francesi: in numero ridotto per l’elevato standard addestrativo richiesto che non permette numeri consistenti di operatori. Attendere il loro intervento, ha permesso ai terroristi di agire e fare molte vittime per molti minuti.

In seguito agli attacchi di Parigi, le Forze di Sicurezza di molti Stati europei hanno, evidenziato che gli attentatori agiscono rapidamente con piccoli gruppi di fuoco, contemporaneamente in diversi luoghi affollati, per creare caos, spostare l’attenzione e per fare il più alto numero di vittime.

Dall’esigenza di rispondere agli attacchi di questa nuova tipologia, si è predisposto ed affinata la capacità di intervento di alcuni Reparti di élite, soprattutto per cercare di arginare i terroristi nelle prime azioni in attesa delle Forze Speciali. Più semplicemente creare delle Unità addestrate alla conduzione di azioni dirette.

L’Arma dei Carabinieri, già dal 2015, qualora si materializzasse anche in Italia, un attacco terroristico centrato sull’uso simultaneo di più nuclei di fuoco, dispone sul territorio nazionale di un sistema di contrasto antiterrorismo imponente per consistenza numerica, versatilità e specializzazione, rafforzando le capacità dell’Arma Territoriale e delle Unità Mobili. Nello specifico sul territorio nazionale è previsto lo schieramento degli specialisti dell’antiterrorismo del G.I.S con il supporto sia del 1° reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania” sia delle Unità denominate rispettivamente: le A.P.I. (Aliquote di Primo Intervento) e le S.O.S. (Squadre Operative di Supporto) afferenti rispettivamente all’organizzazione territoriale dell’Arma e dei Reparti Mobili.

Sia per le API che per le SOS c’è una precisa organizzazione strutturale ed operativa. Fondamentale è stata la revisione dell’addestramento e delle dotazioni del personale di pronto intervento dell’Arma Territoriale (Nuclei o Aliquote Operative Radiomobili) per poter fronteggiare rapidamente ed in modo risoluto un’improvvisa quanto complessa minaccia terroristica prima dell’intervento del GIS.

L’Arma dei Carabinieri dispone di 18 Aliquote di Primo Intervento di cui 16 operative in altrettanti capoluoghi di provincia nazionali e 2 aliquote tratte dai reparti speciali dei Carabinieri Cacciatori di Calabria e Sardegna.

Necessita una distinzione operativa tra le Aliquote di Primo Intervento attive nei capoluoghi di Provincia e le Aliquote di Primo Intervento dei Carabinieri Cacciatori di Calabria, nel caso specifico. La ratio in entrambi gli impieghi di queste unità è quella di avere delle aliquote immediatamente disponibili ad intervenire sui luoghi in cui operano. Anche il tipo di armamento usato cambia, perché è diverso il tipo di impiego svolto. Compito prioritario delle unità A.P.I. è quello di diversificare l’obiettivo: concentrarsi sulla “minaccia” per direzionare l’attenzione dai civili verso i militari che devono provvedere a congelarla, neutralizzarla e se necessario confinarla per abbatterla.

Le unità A.P.I. che operano nei capoluoghi di provincia, sono individuati dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri sulla base dei criteri di maggiore sensibilità al pericolo terroristico. Sono legate al loro specifico Comando Territoriale di appartenenza per rafforzare le capacità antiterrorismo dei Reparti Territoriali dell’Arma dei Carabinieri. Non sono delle “tradizionali” pattuglie del Radiomobile, non restano in caserma in attesa di una chiamata per intervenire. Sono pattuglie dotate di un addestramento mirato e di dotazioni specifiche per il primo contrasto ai terroristi. Sono una robusta implementazione delle “normali” pattuglie quotidiane impegnate quotidianamente sul territorio. Svolgono specifici turni di pronto impiego, 24h su 24h a protezione degli obiettivi sensibili del territorio provinciale di appartenenza. In caso di emergenza sono pronti ad intervenire perché costantemente presenti sul territorio. Questi militari, vigilano gli obiettivi sensibili, controllano in maniera dinamica luoghi molto frequentati come stazioni ferroviarie, luoghi di culto, fermate di autobus, palazzi pubblici, centri commerciali, tribunali ed aeroporti.

Le unità A.P.I. costituite dai Carabinieri Cacciatori di Calabria “vigilano” un obiettivo specifico sia su tutto il territorio calabrese (tranne Reggio Calabria che dispone delle proprie unità A.P.I.) e sia fuori regione, ovvero su tutto il territorio nazionale su disposizione del Comando Generale dell’Arma. Il loro impiego è previsto al verificarsi di un evento definito in luoghi con presenza di obiettivi sensibili quali università, convegni, manifestazioni nazionali etc. La presenza di un’aliquota immediatamente disponibile consente di intervenire in loco. È importante sottolineare che l’aliquota di primo intervento dei Carabinieri Cacciatori di Calabria (come le altre unità A.P.I.) non è impiegata a scopo preventivo ma repressivo. Quello che conta è la scelta del punto di osservazione nel luogo in cui queste unità specializzate sono dislocate, per mantenere sotto controllo tutta la zona da sorvegliare.

La richiesta di impiego delle unità A.P.I. dei Carabinieri Cacciatori di Calabria, necessita di una richiesta specifica come da circolare standard approvata dal Comando Generale che disciplina oltre che l’istituzione anche l’impiego, l’equipaggiamento, gli armamenti e le modalità di impiego dell’aliquote.

Tutto il lavoro concernente la prevenzione antiterroristica spetta ai Reparti dell’Arma Territoriale.

Il personale inquadrato nelle unità A.P.I. dello Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori di Calabria è volontario (il personale operativo delle A.P.I. attive nei capoluoghi di provincia, proviene dai nuclei radiomobili). Vengono sottoposti ad uno screening psicologico preventivo e ad un test psico-attitudinale, per valutare il livello di motivazione psicologica, perché i rischi e lo stress che affrontano sono o possono essere molto elevati. Il primo corso di formazione di 3 settimane, si è svolto presso il CoESPU (Centro di Eccellenza dell’Arma dei Carabinieri per la Formazione dei Reparti Internazionali di Polizia destinata alla Stabilizzazione) di Vicenza. Agli istruttori del G.I.S. è stata affidata la formazione che prevede nozioni di combattimento corpo a corpo, pronto soccorso operativo, combattimento in ambiente urbano, addestramento al tiro statico e dinamico, simulazioni di operazioni counter IED e active shooter. Un corso per le unità A.P.I. è suddiviso in moduli pratici (tra cui il CQB-Close Quarter Battle Training, ovvero tecniche di intervento in luoghi pubblici considerando le vie di ingresso e le uscite di emergenza/sicurezza) ed in moduli teorici (per la pianificazione dell’intervento, recuperare informazioni su planimetria, sulle strutture etc).

Da circa due anni la formazione delle unità A.P.I. (e S.O.S.) è affidata al personale del Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (C.I.S.A.M.) di Pisa. Gli operatori A.P.I. sono in grado per la procedura di formazione che seguono di interagire operativamente e tatticamente con gli incursori dell’Arma. A fine corso il personale è pronto all’impiego. Necessariamente deve mantenere la qualifica con attività addestrativa mensile da svolgere nel proprio reparto e osservare un richiamo annuale al CoESPU. Le unità A.P.I. in attività sono costituite solitamente da 4 uomini, dotati di una specifica tuta da combattimento, un giubbotto antiproiettile con piastre balistiche, elmetto balistico, scudo antiproiettile, radio personale ed una “combatcam” (è una bodycam con cui è possibile registrare audio-video ad IF(infrarossi) per “garantire e tutelare” lo svolgimento del servizio. Come armamento dispone anche di dispositivi non letali, come i bastoni tonfa e lo spray urticante, oltre alle tradizionali armi corte e diverse nuove tipologie di armi lunghe. I veicoli in dotazione sono i SUV Subaru Outback e Forester, completamente blindati e dotati del sistema di comando e controllo “Odino 3” (Operational Device for Information Networking and Observation) disponibile su tablet per essere sempre in collegamento con le centrali operative dell’Arma dei Carabinieri.

Oltre ad essere opportunamente dotati di auto blindate ed armi particolari, sono anche opportunamente formati: il personale riceve un adeguato addestramento per essere in grado di analizzare le caratteristiche antropometriche dell’aggressore, le effettive intenzione del medesimo e l’ambiente circostante. Durante la formazione, nel piano di studi sono previste lezioni di psicologia applicata a cura di personale militare specializzato. Si forniscono anche una serie di conoscenze di anatomia e fisiologia di base utili per una applicazione appropriata delle tecniche: al fine di evitare lesioni durante l’intervento operativo, pur permettendo un efficace bloccaggio ed immobilizzazione dell’aggressore.

L’addestramento delle unità A.P.I. sia dei Carabinieri Cacciatori di Calabria sia di quelle operanti nei capoluoghi di provincia, è affidato ad istruttori di difesa personale e tecnica del disarmo.

Nessun operatore deve mai ingaggiare una lotta corpo a corpo che metta in pericolo la sua vita o quella del “protetto”, se ciò avviene la reazione deve essere rapida e istantanea senza lasciare risposta all’aggressore. Bisogna saper gestire una potenziale minaccia o un’aggressione, cercando di “congelarla”.

Sono le 8.30 e come ogni sabato mattina, il personale A.P.I., è pronto ad addestrarsi sul tatami della palestra: a mani nude e contro aggressori simulati con caratteristiche fisiche diverse: l’istruttore cerca di riprodurre diverse varianti tra gli aggressori per rendere le situazioni quanto più realistiche possibili.

Nella prima fase di addestramento, l’istruttore indottrina il personale su capovolte e cadute (indietro, laterale, avanti). E ancora su parate (alte, medie e basse), movimenti di schivata, rotazione e torsione con obiettivo di ridurre la distanza durante l’azione di difesa effettuando uno spostamento degli arti inferiori con movimento rotatorio ed una sinergica torsione del busto.

Nella seconda fase invece, il programma prevede di addestrarsi su tecniche di judo e di karate: si eseguono leve articolari a gomito e spalla, uso della mano come arma e leve articolari a polsi, ginocchia e caviglie. Fondamentale è lo sviluppo delle tecniche di controllo, immobilizzazione e di ammanettamento.

A seguito delle fasi di apprendimento per le tecniche di difesa personale e disarmo, si simulano “eventuali” scenari che potrebbero verificarsi, per valutare la preparazione, la velocità di reazione e di intervento degli operatori A.P.I. Tra gli attacchi simulati: un colpo frontale dall’alto, una presa frontale al petto con una mano e con due mani, una presa al collo frontale, un calcio frontale, un calcio circolare con colpo all’altezza del fianco, un attacco frontale con pistola ed una pugnalata frontale (ovviamente pistola e pugnale di plastica).

Occorre eludere l’attacco del fendente possibilmente con una mossa fulminea e cercare di atterrare l’aggressore con tanto di bloccaggio, disarmo ed ammanettamento. Bisogna essere in grado di anticipare, fermare e controllare mettendo in sicurezza.

Tutte le unità A.P.I., nonostante la tecnica complessa prevista per eludere, disarmare e bloccare l’aggressore, sono capaci di gestire gli attacchi, tenendo conto dei vari aspetti teorico-pratici dell’autodifesa.

Le unità A.P.I. sia dei Comandi Provinciali che in particolar modo quelle dei Carabinieri Cacciatori di Calabria (come quelli di Sardegna) sono uno strumento imprescindibile predisposto dall’Arma dei Carabinieri, per rafforzare i dispositivi antiterrorismo sul territorio nazionale. Queste unità sono capaci di affrontare la minaccia terroristica in tutte le sue possibili sfaccettature: consentono una risposta di emergenza e migliorano le difese antiterrorismo nei luoghi potenzialmente a rischio di attacchi terroristici.

Possono coordinarsi con le altre forze di polizia ed in particolare con le Unità Operative di Primo Intervento (U.O.P.I.), un reparto della Polizia di Stato presente presso gli Uffici di Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico delle Questure di alcune principali città italiane. Hanno il compito di prevenire, reprimere gli atti di terrorismo e di intervenire all’interno di situazioni ad alto rischio.

È ovvio che la guerra al terrorismo non si vince bombardando alcuni campi di addestramento e ripetendosi che l’Islam è una religione cattiva. Il terrorismo va riconosciuto come un “problema” di natura militare ed affidato agli apparati militari e di intelligence, potenziando anche il coordinamento con le agenzie europee. Non è un fenomeno di competenza operativa del “normale” sistema giurisdizionale, che deve occuparsi della raccolta informativa basata su fattori ed operatori umani, sull’infiltrazione e sull’interrogatorio dei terroristi, sulla collaborazione con i Paesi di origine e con le altre intelligence, senza dimenticare il necessario supporto della tecnologia.

Il terrorismo può sembrare religioso nei suoi pretesti ma è geopolitico nelle origini e negli scopi.

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(foto: autore / web / U.S. Army)