Reportage dal Kosovo di Daniela Lombardi

20/01/14

Un’arma vincente non deve avere necessariamente colpi in canna. Sembra essere questa la lezione che insegnano i militari italiani della Kfor, di base a Belo Polje in Kosovo. La loro arma per avvicinarsi alla popolazione, infatti, va caricata solo di umanità e di doti di empatia e si chiama LMT, ossia Liaison Monitoring Team.

Un gruppo che appare ben lontano dall’idea tipica del militare che gira all’estero con fucile e giubbotto antiproiettile. Un insieme ben amalgamato di otto persone, più due interpreti, che opera come interfaccia con la popolazione civile in ogni municipalità. Per farne parte, bisogna avere doti diplomatiche, bisogna essere capaci di costruire relazioni che camminano sempre sul filo del rasoio, vista la necessità di mantenersi equidistanti rispetto alle posizioni dei serbi, che in Kosovo rappresentano la minoranza della popolazione e degli albanesi, etnìa che invece mantiene l’ampia maggioranza numerica dopo i noti eventi della fine degli anni ’90. Per questo, i componenti del team non possono permettersi errori che possano urtare la suscettibilità di alcuno.

Lo sa il tenente Marco De Santis, comandante dell’LMT 3 che opera a Pec, nella zona Ovest del Kosovo, e lo sanno tutti i militari del gruppo, che hanno dovuto “mandare giù”, da quando operano nel Paese, litri di rakija, la bevanda alcolica serba tipica, per intessere relazioni e saldare amicizie. “Lo abbiamo fatto con vero piacere, è il nostro modo per stringere sempre di più le amicizie e gli affetti che ci legano alla popolazione”, spiega De Santis, che ha da poco concluso la sua missione in Kosovo e al quale ha dato il cambio il Capitano Battista. “Ho cominciato da poco – spiega il nuovo comandante dell’Lmt – e già sono entusiasta. Del resto chi ha vissuto questo tipo di esperienza ne ha sempre parlato benissimo per il tipo di ricchezza umana e culturale che si acquisisce”.

La missione dei componenti del team è, in effetti, molto particolare. Sono gli unici a non dover rientrare nella base di Belo Polje appena scende la sera, come invece devono fare gli altri militari per questioni di sicurezza. Anche le feste religiose o di matrimonio che vengono organizzate nei villaggi e che durano a volte fino a notte, sono importanti, infatti, per aprire il dialogo con i civili e recepire le loro istanze, i loro problemi. I componenti dell’Lmt, infatti, si relazionano con la popolazione e poi comunicano i bisogni dei villaggi al Cimic, unità deputata alla cooperazione civile e militare, che si occupa poi di finanziare i progetti che siano ritenuti di interesse pubblico, come la costruzione di una pompa idrica, il rifacimento di una strada, l’allestimento di un’aula informatica all’interno di una scuola.

“L’aspetto più interessante è che dobbiamo relazionarci con diverse tipologie di persone, dall’umile contadino al sindaco, al direttore di un acquedotto. Per ognuno, dobbiamo adottare un diverso approccio, un diverso modo di parlare ed un linguaggio di un certo tipo”, spiega ancora il tenente De Santis. Come è facilmente comprensibile, infatti, con un capovillaggio il linguaggio dovrà essere più informale, i gesti saranno più confidenziali.

Lo si percepisce, ad esempio, nel raggiungere la casa di Miotrag, il capovillaggio di Bestovik. Miotrag è un “ritornato”. Così vengono definiti i serbi che, a causa della guerra, erano fuggiti - in territorio serbo come nel suo caso o altrove come in altri - ma che poi, vinti dalla nostalgia per la propria terra, ma anche attirati dall’idea di trovare case in cui vivere ricostruite grazie ai fondi dell’Unione europea, hanno deciso di tornare sui propri passi. Miotrag vive di agricoltura e allevamento. La carne che produce la vende anche ai macellai albanesi. “Voglio vivere con chi è buono, che sia serbo o albanese. Solo questo conta”, è la filosofia del capovillaggio, che dopo averla spiegata serve a tutti i presenti un bicchiere di rakija. Rifiutare di bere potrebbe guastare le relazioni con quest’uomo gioviale e accogliente, che ci tiene però al rispetto delle tradizioni. Questa è l’ospitalità serba. I militari italiani sanno apprezzarla e sanno muoversi con discrezione sia tra i serbi stessi che tra gli albanesi, tanto che, in giro per i villaggi kosovari, tutti li salutano con affetto.

La divisa non provoca diffidenza, ma anzi i bambini riconoscono la mimetica e si “sbracciano” a salutare quando vedono arrivare il mezzo dell’LMT. I loro genitori sono altrettanto contenti di vedere arrivare i mezzi italiani, al gruppo LMT hanno rappresentato tutti i loro problemi, le loro esigenze. Molti di questi, come si diceva, sono stati risolti, poiché il gruppo si è poi rivolto al CIMIC, unità di cooperazione civile-militare che interviene ogni volta in cui la popolazione chieda un intervento per un progetto per il quale l’assessorato competente (formazione, sanità) non abbia i fondi sufficienti, purché il progetto in questione sia riconosciuto di interesse pubblico.

Una rete di interventi mirata ed efficace, che ha funzionato bene ad esempio nel villaggio albanese di Kryshec, nella municipalità di Pec, dove la scuola è stata dotata di un’aula informatica come già in passato, nel 2011, di banchi e sedie. “L’unico errore da non fare – spiegano i due comandanti – è illudere le persone. E’ promettere qualcosa che poi non può essere realizzato”. Così ci si gioca la credibilità ed il comandante De Santis ha voluto subito insegnarlo al suo successore, capitano Battista. Entrambi condividono la passione per i Balcani. Hanno studiato, come chiunque intenda far parte di questo speciale team, tutti gli aspetti della zona in cui operano, da quello geopolitico, a quello sociale, a quello culturale e religioso. De Santis, che viene da Pofi in provincia di Frosinone, è alla sua terza esperienza come componente di un gruppo che funge da interfaccia con la popolazione. E’ stato già in Kosovo nel 2008, poi nel 2010 in Bosnia, infine è tornato in Kosovo nel 2013. Battista, arrivato invece da Scauri, in provincia di Latina, è alla sua prima esperienza di questo genere, ma ha già imparato quanto sia importante salutare nel modo giusto le persone che si incontrano, ossia in serbo nelle enclave serbe ed in albanese quando si incontrano albanesi. Una questione fondamentale per non guastare rapporti importanti, nei quali la fiducia cresce di anno in anno grazie all’ “italian approach”, che spinge persone di tutte le appartenenze e di tutte le fasce d’età a rivolgersi agli “sportelli Lmt”. Il team ha infatti, con sede nel Comune di Pec, un ufficio nel quale, due volte a settimana, chi vuole può recarsi a presentare le proprie istanze, le richieste che poi, come si diceva, vengono inoltrate al Cimic che può realizzarle.

Complessivamente l’Lmt 3 di Pec si occupa di 78 villaggi, per un totale di 115mila persone. Le richieste vanno da quelle del malato che necessita di cure a quelle di chi, molto semplicemente, chiede dei soldi. “Non siamo una banca”, sono in quel caso costretti a rispondere i membri del gruppo, ma alla fine il concetto viene sempre recepito e i rapporti diventano sempre più schietti e sinceri. “Con la gente parliamo di tutto”, dice ancora De Santis, “tutti gli argomenti sono buoni per creare affetto e amicizia. Si parla di sport, vacanze, sviluppo turistico. Con i giovani si crea subito feeling, sono sempre pronti ad aprirsi su vari argomenti”. E questa capacità di entrare in sintonia con i più giovani, ha portato l’Lmt anche ad un’attività di disseminazione, tramite il giornale 4U magazine, destinato alle scuole medie e che parla di storie di giovani kosovari, albanesi e serbi, che ce l’hanno fatta, che sono riusciti a costruirsi una vita superando difficoltà e oltrepassando l’odio che ha portato i loro padri ad una guerra fratricida.

La ricetta vincente, per ottenere tutti questi risultati è una sola, il gruppo. “La capacità di fare gruppo è fondamentale – racconta il capitano Battista – è la prima cosa che il tenente mi ha raccomandato in vista dell’avvicendamento”. “Senza il team non si va da nessuna parte – conferma De Santis – ognuno ha il suo ruolo ben preciso. Quando entriamo nei villaggi, sempre in tre, c’è chi apre il dialogo, c’è chi lo amplia facendo sentire il suo punto di vista, c’è l’interprete che si rapporta alla popolazione”. “Anche il conduttore del mezzo ha un ruolo importante – aggiunge poi – visto che deve riuscire a portarci agli incontri con la gente attraversando strade sconnesse, superando pericoli e ostacoli”. Anche questo è un problema da non sottovalutare, qui in Kosovo. Anche questa capacità di riconoscere a tutti il proprio ruolo e la propria importanza, è specifica dell’Lmt.

In tutto questo, fucili e mitraglie c’entrano ben poco.

 

Daniela Lombardi

 

Giornalista professionista, da qualche anno si occupa di temi legati alle missioni all’estero dei militari italiani. Nel 2012 ha pubblicato un libro - sul contingente italiano in Afghanistan – che si è aggiudicato la menzione d’onore al Premio internazionale “Penna d’autore” organizzato dalla Regione Piemonte e la segnalazione della giuria al Premio internazionale “Phintia” della città di Agrigento. Dopo aver frequentato il "Corso per inviati in aree di crisi” organizzato dal Ministero della Difesa, è partita come embedded per il Kosovo, al seguito della missione Nato “Kfor”.

Foto dell'autore: (in alto) Momenti di gioco tra uomini in divisa e bambini kosovari; (sotto) I militari della Kfor vanno a trovare il capovillaggio di Bestovik, Miotrag; (in fondo) Il tenente De Santis e il Capitano Battista