L’ingresso del carro armato sui campi di battaglia

(di Tiziano Ciocchetti)
28/12/17

Il mezzo che doveva diventare universalmente noto come carro armato venne praticamente imposto, agli eserciti impegnati sul fronte occidentale della Prima Guerra Mondiale, proprio dalla natura del terreno sul quale gli opposti schieramenti dovevano combattere.

Con l’aperura del secondo anno di guerra, lo scontro aveva praticamente assunto la fisionomia di un conflitto di logoramento. L’esercito tedesco e quelli francese e britannico si fronteggiavano nella Francia settentrionale su di una striscia di terreno spazzata dal volume di fuoco erogato dalle mitragliatrici e dalla potenza delle artiglierie.

Gli eserciti avversari conducevano prevalentemente attività di presidio nelle loro trincee e di tanto in tanto facevano uno sforzo per superare lo stallo, organizzando attacchi in massa, preannunciati e appoggiati da enormi concentramenti di fuoco di artiglieria. Tutto questo però non portava risultati significativi a livello tattico. Ogni volta che veniva effettuato il tentativo, da una delle due parti, di attraversare la striscia di terreno contesa e nota come terra di nessuno, il risultato era una immane carneficina.

Indipendente dall’intensità e dalla precisione del tiro di preparazione di artiglieria, esisteva sempre un fianco dal quale poteva provenire fuoco di mitragliatrici, scampate al bombardamento. Ai Comandi sembrava che non vi fosse via d’uscita da tale situazione disperata e che tutto ciò che essi potevano escogitare fosse di rendere sempre più intenso e concentrato il fuoco delle artiglierie. Tuttavia i nidi di mitragliatrice continuavano a sopravvivere ed il tributo di sangue delle truppe ad aumentare.

La risposta fu un semplice strato di lamiere di acciaio e alcune armi leggere a bordo di quel veicolo a motore che oggi è noto con il nome di carro armato.

Il nuovo mezzo doveva essere il grado di attraversare il terreno devastato della campagna francese fra gli opposti schieramenti, di superare le linee di trincee in cui era posizionata la fanteria e di uscire poi oltre gli ostacoli in campo aperto. Una volta che i carri fossero arrivati là – sostenevano i teorici – poteva ricominciare la guerra di movimento e la distruzione del nemico.

L’idea della nave terrestre corazzata era già ben consolidata nella letteratura militare prima del 1914 e proposte di realizzazione di un veicolo del genere erano state elaborate in quasi tutti gli Stati Maggiori degli eserciti europei. Tuttavia nessuna di queste proposte venne presa in considerazione per il semplice motivo che non sembrava esistesse alcuna esigenza di tale mezzo, ma dopo il 1914 la situazione cambiò. Alcuni ufficiali lungimiranti si resero conto che le condizioni operative esistenti sul fronte occidentale potevano essere affrontate solo mediante l’impiego di mezzi corazzati mobili.

Uno di questi militari fu il colonnello E.D. Swinton che utilizzò la sua posizione di comando al fine di destare l’interesse di funzionari governativi sulla nuova arma. A seguito di ciò, venne costituita una commissione presso il Ministero della Guerra britannico con lo scopo di esaminare le proposte in essere, tuttavia i lavori non approdarono ad alcun risultato. Decisivo si rivelò l’intervento della Royal Navy, forte dell’esperienza di guerra corazzata fatta nel 1914 dagli squadroni di autoblindo del servizio aeronavale britannico. Il risultato fu un certo numero di proposte di sviluppo di un veicolo big wheel, provvisto cioè di ruote di grande diametro capaci di oltrepassare i campi trincerati. Intervenne personalmente Winston Churchill e creò quello che fu chiamato il Landship Committee (comitato della nave terrestre) perché studiasse il modo di operare sul terreno francese. Venne quindi autorizzata la costruzione del veicolo a grosse ruote, mentre si attirava l’attenzione del comitato su un altro mezzo denominato Pedrail che era provvisto di un largo cingolo centrale sopra il quale era installato un motore.

Anche per questo mezzo venne disposta la costruzione di prototipi da sottoporre a prove e, nel frattempo, vennero ordinati, per attività sperimentale, altri veicoli provvisti di cingoli simili al trattore tipo caterpillar.

Vennero quindi realizzati numerosi mezzi, tra cui il trattore Killen-Strait, il trattore chiamato Bullock Creep Grip e un altro mezzo, che montava le ruote del trattore Daimler-Foster e che era stato costruito specificamente per il superamento delle trincee, come indicato dalla sua denominazione Tritton Trench-crossing Machine. Nessuno di questi mezzi venne ritenuto idoneo al compito e lo stesso dicasi del Pedrail, che si dimostrò troppo ingombrante per poter superare il terreno accidentato.

Invece il trattore Bullock sembrò promettere migliori risultati e ne vennero ordinati due esemplari a titolo sperimentale dagli Stati Uniti. Il Bullock, essenzialmente un trattore agricolo, non poteva certo essere convertito in un mezzo militare, tuttavia i suoi cingoli offrivano la possibilità di attraversare il terreno fangoso e i reticolati. Venne deciso di incaricare William Tritton della Foster’s di Lincoln di riprogettare il trattore. Egli aveva già progettato la Tritton Trench-crossing Machine dopo l’abbandono del progetto big wheel.

Utilizzando cingoli e sospensioni del Bullock, Tritton costruì il veicolo Lincoln n°1. Il progetto risultò molto più promettente dei precedenti, nonostante il cingolo fosse troppo ridotto e dava continue noie. Fu quindi montato u nuovo cingolo e apportato qualche altro miglioramento, e nel dicembre del 1915 nacque il veicolo denominato successivamente piccolo Willie (Little Willie). Fu questo il primo carro armato britannico, ancorché a quel tempo il nome tank non fosse stato ancora adottato.

Sembrò che Little Willie potesse soddisfare le richieste del Landship Committee, ma il veicolo era ancora troppo instabile e non ancora in grado di superare gli ostacoli, cosicché il tenente W.G. Wilson, che aveva già lavorato con Tritton su ordine del comitato, concepì l’idea di allargare notevolmente i cingoli facendoli girare tutt’attorno allo scafo che assunse così la forma romboidale ( a losanga ), caratteristica dei carri della Prima Guerra Mondiale. Lo scafo a cassone del Little Willie dovette di conseguenza essere modificato per adattarlo al nuovo profilo dei cingoli e si arrivò così al carro Mother ( madre ).

All’apparire del Mother il Ministro della Guerra britannico dimostrò nuovo interesse al problema e, dopo le dimostrazioni fatte a Hatfield Park nel mese di gennaio del 1916, approvò il progetto.

Il Landship Committee fu riorganizzato e divenne il Tank Supply Commitee (comitato per l’approvvigionamento dei Tank) perché, nel tentativo di nascondere il ruolo assegnato al nuovo mezzo, si fece ricorso prima al nome in codice di Water Carrier ("mezzo di trasporto acqua") e in seguito a quello di Tank ("cisterna"); quest’ultimo fu il nome che rimase.

Il Mother fu il prototipo del veicolo che in seguito divenne il carro Mk I. Nel febbraio del 1916 il Ministero della Guerra britannico fece un ordine di 100 esemplari: era nato il carro armato.

Quando i carri Mk I entrarono per la prima volta in azione nella zona della Somme, nell’autunno del 1916, non erano preparati né dal punto di vista degli equipaggi né da quello dell’efficienza meccanica. Inoltre non vennero utilizzati in modo appropriato; schierati in ordine sparso, uno o due alla volta, avrebbero dovuto costituire il colpo decisivo per lo sfondamento delle linee tedesche.

Per farlo, avrebbero dovuto attraversare un terreno sconvolto dai bombardamenti di artiglieria e così molle da ingoiare interi convogli di artiglieria senza che ne rimanesse traccia. Per completare l’opera, avrebbero dovuto guadare fiumi e corsi d’acqua in piena. Purtroppo la dottrina militare dell’epoca si basava principalmente sul concetto di logoramento e i carri armati rappresentavano nient’altro che un’altra arma a portata di mano per l’applicazione di essa.

Negli ultimi giorni del 1916, l’offensiva della Somme si arrestò in modo cruento: era stata sprecata la grande opportunità di impiegare i carri in modo da ottenere un risultato decisivo, e i tedeschi stavano già esaminando i pochi carri armati catturati in modo da sviluppare uno speciale proiettile perforante (denominato K e caratterizzato da una ogiva in tungsteno) per il fucile di ordinanza Mauser-Gewehr 98 in calibro 7,92x57. Infatti nel momento in cui i carri Mk I e i pochi nuovi Mk II entrarono di nuovo in azione sul terreno innevato a Bullecourt, l’11 aprile 1917, le nuove pallottole perforanti ne misero fuori combattimento alcuni. Da allora in poi ogni soldato tedesco ricevette in dotazione almeno cinque colpi del nuovo munizionamento K e i mitraglieri ne ebbero molti di più.

La comparsa del nuovo munizionamento non passò inosservato da parte dello Stato Maggiore britannico, che aveva già qualche idea in merito ai futuri miglioramenti da apportare ai carri armati dopo le esperienze pagate a caro prezzo nel 1916.

Uno di tali miglioramenti riguardò la revisione del fissaggio della corazzatura allo scafo. Infatti anche i proiettili convenzionali, all’impatto con la corazza, spesso penetravano all’interno dello scafo spandendo schegge di metallo e causando all’equipaggio gravi ferite.

La struttura del nuovo carro Mk IV, combinata con una corazzatura più spessa impenetrabile dai colpi K, prometteva una protezione di gran lunga migliore; unita poi alla migliorata ventilazione interna, rendeva meno disagiata la vita dell’equipaggio. L’esperienza della prima battaglia cui parteciparono i carri armati Mk IV sembrò avvalorare tali miglioramenti.

L’Mk IV fu impiegato a Messines il 7 giugno 1917. Messines fu una di quelle massicce battaglie, pianificate dagli inglesi, in funzione della massa di fanterie semi-addestrate di un esercito di cittadini, i quali davano prova di poca elasticità nell’apprendere le nuove specializzazioni militari.

La battaglia cominciò con il canonico tiro di preparazione di artiglieria, cui fece seguito una relativa novità: la simultanea detonazione di una serie di grosse mine sotto le trincee tedesche. I carri dovevano essere impiegati nel loro ruolo consueto: accompagnamento della fanteria per distruggere i nidi di mitragliatrici nemiche.

Era previsto l’impiego di 76 nuovi carri Mk IV, 72 dei quali erano già in prima linea, pronti per entrare in azione, fin dalla notte precedente. Era normale procedura che i carri venissero portati sulla linea di partenza la notte. L’operazione comportava una faticosa preparazione e non poche difficoltà in quanto gli equipaggi, che avevano già una visuale assai limitata, nel buio operavano ovviamente in condizioni peggiori. Il rumore dei motori impediva le comunicazioni a voce, cosicché di solito non vi era altra possibilità che quella di disporre, molto in anticipo, degli indicanti, come nastri o pali bianchi, per segnalare gli itinerari. Gli equipaggi quindi dovevano fare affidamento su tali indicazioni oppure su guide che marciavano a piedi davanti ai carri, tuttavia la maggior parte delle volte le guide non si presentavano affatto o, se si trattava di nastri, questi erano stati distrutti dal tiro di artiglieria.

In queste condizioni gli equipaggi dovevano navigare con l’ausilio di carte a grande scala, di una speciale bussola per carri e della loro intuizione.

Dopo un po’ di tempo, gli equipaggi dei carri divennero abilissimi nel trovare la propria strada, tanto che la fanteria si abituò a fare affidamento su di loro per seguire la propria, mentre sarebbe dovuto avvenire il contrario.

A Messines non accadde diversamente; una volta detonate le mine, i carri si mossero pesantemente all’attacco, insieme alle ondate di fanteria. Le prime linee furono strappate alla fanteria tedesca, stordita dallo scoppio e dallo shock delle mine; i carri proseguirono goffamente, come sempre, verso l’obiettivo successivo. Un Mk IV si guadagnò molti onori per la distruzione di postazioni di mitragliatrici nel villaggio di Wytschaete, impresa che facilitò le cose alla fanteria. Alcuni carri rimasero successivamente impantanati nel terreno fangoso che copriva tutta l’area della battaglia, ma potevano comunque svolgere il ruolo di postazioni protette di artiglieria fisse, erogando fuoco di accompagnamento.

La battaglia si spense poi gradualmente: ai carri erano stati assegnati obiettivi secondari, in una operazione che complessivamente aveva obiettivi tattici limitati. In generale essi si erano dimostrati efficaci e la nuova corazzatura dell’Mk IV aveva ben resistito al munizionamento perforante K.

Dopo di allora, carri Mk IV vennero impiegati per fornire appoggio in due circostanze di scarso rilievo prima che si presentasse la loro grande occasione.

Da diverso tempo gli ufficiali superiori carristi insistevano con lo Stato Maggiore perché venisse loro consentito di dar battaglia in condizioni favorevoli ai carri, su terreno non sconvolto da ripetuti bombardamenti di artiglieria e con i mezzi raggruppati in masse tali da schiacciare ogni resistenza. Alla fine i carristi ebbero tale opportunità ed essi combatterono l’epico scontro che la Storia ricorda come la battaglia di Cambrai (il 20 novembre del 1917).

Per una serie di motivi vari, il settore di Cambrai non aveva attratto l’attenzione dell’artiglieria nella stessa misura di altri settori. La natura di quel terreno è in genere piana e scoperta, ma nel 1917 esso era di difficile percorribilità a causa delle tre linee di trincee tedesche, i carri avrebbero dovuto superarle e perciò gli equipaggi si erano esercitati ad agire in gruppi di tre utilizzando fasci di legname per attraversare le trincee. Ciascun carro a turno gettava la sua fascina in una trincea e allora passava il carro retrostante. Per agevolare l’azione dei carri non era stato previsto il tiro di preparazione di artiglieria, il che avrebbe dovuto contribuire a realizzare l’effetto sorpresa.

Non meno di 378 carri da combattimento dovevano prender parte alla battaglia, più altri 98 veicoli di supporto, come gli Mk I attrezzati come carri radio per trasmettere a tergo i particolari degli scontri mentre si svolgevano. Vi erano anche molti carri rifornimento per trasporto munizioni e carburante.

Tutto era pronto al mattino del 20 novembre e alle 6.00 la battaglia ebbe inizio. I carri vennero guidati in azione dal loro comandante, il generale Hugh Elles, e avanzarono rapidamente nella nebbia, superando le trincee nemiche di prima linea. Le esercitazioni e la pratica fatta in precedenza diedero i loro frutti: i mezzi non soltanto superarono la prima linea di trincee, ma anche la seconda e la terza. L’effetto dei carri che uscivano improvvisamente dalla nebbia impressionò molti fanti tedeschi, che in molti casi abbandonarono le loro trincee per fuggire verso le retrovie; ma in molte postazioni isolate i mitraglieri rimasero ai loro posti fino a quando furono letteralmente schiacciati dai cingoli dei carri.

Una volta superate le trincee, i carri si trovarono in terreno scoperto e avanzarono in alcuni tratti per circa 8 km, molto più che in tutte le battaglie della Somme, durate cinque mesi, dell’anno precedente. Ciò non vuol dire che per i carri andò tutto liscio, perché, per esempio, in un sol tratto un cannone tedesco fu in grado da solo di mettere fuori combattimento diversi Mk IV. Altri affondarono in buche profonde ed altri ancora vennero colpiti mentre tentavano di caricare direttamente le batterie tedesche. Ma in generale, da parte inglese, tutti gli obiettivi vennero raggiunti e i reticolati eliminati per consentire il passaggio delle previste cariche di cavalleria.

Tuttavia la cavalleria non riuscì ad entrare in linea e i successivi contrattacchi tedeschi riconquistarono tutto il terreno precedentemente perduto. La principale causa di questo fallimento fu in seguito fatta risalire ai livelli più elevati dello Stato Maggiore britannico, dai quali il successo dei carristi era stato guardato con molto scetticismo: nessuno tra gli alti ufficiali di Sua Maestà era convinto del positivo impiego dei carri armati e perciò le riserve disponibili erano state lasciate troppo lontane dal luogo dell’azione perché potessero essere di qualche utilità al fine del mantenimento del terreno guadagnato dalla prima ondata di carri. Questi non potevano mantenere da soli le posizioni conquistate e dovettero essere ritirati per riorganizzarsi e rifornirsi, e d’altra parte la fanteria avanzata era troppo scarsa di numero per poter difendere il vasto terreno conquistato. Così, la battaglia di Cambrai terminò senza tangibili guadagni di territorio, ma i carri armati avevano dimostrato la validità della tesi dell’impiego di massa. Se fossero stati messi in grado di combattere in condizioni confacenti alle loro caratteristiche e in numero adeguato, i carri avrebbero potuto avere la meglio e vincere la battaglia.

Ma la lezione non fu subito assimilata. L’azione di rilievo successiva, in cui i carri armati svolsero una notevole parte, si svolse ancora una volta sulla Somme, in una operazione pianificata ancora prima di quella di Cambrai. I carri vennero di nuovo impiegati in numero limitato su di un ampio fronte, per cui, se da una parte furono in grado di fornire appoggio locale e di distruggere alcuni centri di fuoco, non riuscirono tuttavia ad incidere in maniera risolutiva.

Questa volta la battaglia era stata ben programmata dall’Alto Comando tedesco; fu la prima di una serie di battaglie di sfondamento iniziate il 21 marzo 1918. I tedeschi sfondarono in diversi punti e, mentre essi avanzavano, i pochi carri britannici disponibili coprirono la ritirata della fanteria. Molti carri andarono perduti, più per mancanza di carburante che per il fuoco nemico. Alla fine l’avanzata tedesca si arrestò per esaurimento, ma essa aveva completamente disorientato i Comandi dell’Intesa.

Benché a quel tempo non fosse evidente, le battaglie di marzo furono l’ultimo sforzo che i tedeschi poterono fare. Logorato da anni di blocco economico e dalla penuria dei rifornimenti essenziali, l’esercito tedesco cominciava a sentire la mancanza di uomini e di munizioni. La situazione per le forze dell’Intesa era diametralmente opposta. Gli americani cominciavano ad arrivare in numero consistente e furono determinanti nell’arrestare l’avanzata tedesca a Château-Thierry. Inoltre, ad incremento delle favorevoli prospettive per il futuro, il primo dei nuovi Mk V sbarcò in Francia pronto ad entrare in azione per il mese di luglio. Anche il numero dei carri e degli equipaggi addestrati progrediva a passi da gigante, ed alla metà del 1918 vi erano sul fronte occidentale non meno di 15 battaglioni carri pronti per l’impiego.

Nella serie di battaglie che culminarono nell’Armistizio emerge un significativo esempio di cooperazione interarmi: l’azione di Hamel del 4 luglio 1918, dove per la prima volta la fanteria australiana cooperò con i carri. Nell’azione, dal limitato obiettivo tattico, il concentramento dei carri si svolse sotto un ombrello aereo, mentre un breve ma efficace bombardamento di artiglieria precedette l’inizio dell’attacco. Avanzarono i carri, sostenendo la fanteria australiana fino all’obiettivo previsto; una volta occupatolo, vennero avanti i carri rifornimento con provviste sufficienti per assicurare che le truppe mantenessero il terreno conquistato e che i carri rimanessero in zona abbastanza a lungo da distruggere qualsiasi fonte di fuoco sfuggita ai precedenti rastrellamenti. Il risultato fu un’azione in cui, da parte alleata, si ebbero pochissime perdite e in cui vennero anche recuperati i cinque carri danneggiati.

La battaglia più grande di carri armati fu quella di Amiens, che ebbe inizio l’8 agosto 1918. Il numero dei carri impiegati non fu inferiore ai 450, ma alcuni vennero tenuti in riserva; per il sostegno logistico vi furono inoltre 118 carri rifornimento. Tali mezzi erano distribuiti su 12 battaglioni, otto dei quali equipaggiati con Mk V, due con Mk V* (versione realizzata con una nuova sezione di 1,83 m di altezza dello scafo, per migliorare le capacità di superamento delle trincee e per riservare maggior spazio all’interno per l’equipaggio o per il trasporto di materiali) e due con carri medi Mk A Whippet. Ad Amiens non vi furono mezze misure. Mentre i carri si radunavano, il loro rumore era mascherato da quello degli aerei in volo a bassa quota e dell’artiglieria; alle prime luci del mattino i carri avanzarono su fronte della IV Armata britannica. Lo sfondamento venne effettuato subito e le linee tedesche si sgretolarono. Mentre i carri avanzavano, vennero raggiunti da un battaglione di autoblindo che furono aiutate dai carri ad attraversare il campo di battaglia e che, una volta in campo aperto, si disposero spingendosi in profondità sul tergo delle unità tedesche. Un’autoblindo riuscì addirittura ad attaccare un treno, catturandone il personale di manovra.

Lo sconvolgimento fu totale e le truppe della prima schiera penetrarono per ben 12 km. Numerosi carri vennero colpiti, specie dai pezzi da campagna tedeschi che si stavano rivelando come l’unica arma controcarro idonea; molti dei carri immobilizzati vennero comunque recuperati.

Questa volta la cavalleria si spinse avanti, ma quando fu al di là delle linee si dimostrò incapace di avanzare anche contro singole postazioni di mitragliatrice nonché di muoversi alla stessa velocità dei carri Whippet; se era necessaria una prova che la cavalleria non era più idonea alla guerra moderna, questa fu fornita dalla battaglia di Amiens.

Le avanzate vennero fermate mentre si preparava la nuova offensiva. Questa venne sferrata in una serie di azioni a Bapaume, Arras, Epéhy, di nuovo Cambrai, Catelet-Bony e Selle, dove l’avanzata dei carri avvenne di solito in stretta cooperazione con la fanteria, mentre l’artiglieria forniva fuoco d’appoggio e l’aviazione effettuava la ricognizione ravvicinata. Il grado di cooperazione fu perfetto, al punto che per riprodurlo nuovamente si dovette attendere fino a dopo il 1940. I risultati dell’azione consentirono l’aggiramento delle linee nemiche e spinsero i tedeschi gradualmente indietro verso la Germania.

L’11 novembre 1918 venne annunciato l’Armistizio e la Prima Guerra Mondiale poteva dirsi terminata.

(foto: web)