Le prospettive delle missioni internazionali italiane

13/05/14

“L’Italia è pronta a schierarsi al fianco delle forze internazionali, anche qualora dovesse aprirsi un fronte in Ucraina. La situazione geopolitica attuale propone sfide e minacce alle quali siamo in grado di rispondere con capacità e professionalità, senza mai far venire meno il nostro appoggio alla Nato”.

Sul ruolo di primo piano che le forze armate italiane stanno ricoprendo e continueranno a ricoprire nell'ambito delle missioni internazionali, il generale di corpo d'armata Pietro Pistolese, dell’arma dei carabinieri, non ha dubbi.

I suoi 49 anni di carriera in Italia e all'estero gli fanno avere un quadro delle aree di crisi che si sono formate nel tempo e che continuano ad aprirsi su più fronti, in base al quale parlare di “smantellamento” delle missioni all’estero appare, come lui stesso dichiara, “azzardato e prematuro”.

Intervenuto a Campobasso nell’ambito dell’incontro formativo promosso dall’ordine dei giornalisti del Molise in merito alla “professione negli scenari di crisi”, Pistolese non si sottrae a nessuna domanda sui diversi scenari internazionali.

“Anche sul fronte afghano, la situazione non può essere certo ritenuta stabilizzata. Dunque la presenza dell’Italia ed il suo ruolo andranno, sì, rivisti quanto a modalità ed entità, ma non certo messi in discussione”.In merito al Kosovo e alla sua presunta pacificazione, il generale ricorda che “ci sono ancora focolai di odio etnico e religioso che possono riesplodere da un momento all’altro” e che, dunque, “questo dovrà essere tenuto presente nei prossimi dibattiti sulla missione Kfor”.

Pur avendo cultura ed esperienza su tutte le aree di crisi, il generale Pistolese è un attento osservatore, in particolare, delle dinamiche mediorientali.

Tra gli incarichi retti all’estero ci sono, infatti, quelli di comandante del contingente carabinieri e vice-comandante della missione internazionale di pace “Temporary International Presence in Hebron” (1994–1997); di consigliere per la sicurezza della Missione dell'U.E. per le elezioni del presidente e del consiglio dell'Autonomia Nazionale Palestinese nel 1996; di comandante della missione di pace europea Border Assistance a Gaza (2005-2008).

Il generale, appena rientrato da Israele, fa il punto sui colloqui ancora in corso tra israeliani e palestinesi, voluti dal segretario di Stato americano John Kerry. “Da un negoziato all'altro, niente è davvero cambiato. Eppure le parti trattano dal 1993”, ricorda Pistolese.

In meno di un’ora il generale, ricostruisce gli accordi firmati nel tempo e le illusioni che questi hanno creato in merito ad una possibile pacificazione. Si passa da Oslo I, firmato a Washington il 13 settembre 1993 tra Rabin e Arafat, che avviò il processo di pace, agli altri momenti che avevano fatto sembrare la pace ormai “a portata di mano”. A dicembre del '95 la speranza si riaffacciò quando a Washington fu firmato il trattato Oslo II. Poi la rinascita sembrò possibile quando l'esercito israeliano si ritirò da Betlemme e dalle altre maggiori città della Cisgiordania. Le tappe del processo di pace e i momenti in cui questo si è arenato sono davvero tanti.

“Ogni volta, per un passo avanti compiuto, ne sono poi stati fatti due indietro – dice il generale – e forse, nonostante il lavoro intenso delle diplomazie, la pace potrà venire solo dal basso, quando entrambi i popoli saranno finalmente convinti della sua necessità e del bisogno di ottenerla al più presto".

Daniela Lombardi

(foto dell'autore)