La vocazione di un esercito europeo

(di Paolo Palumbo)
13/11/18

Il presidente francese Macron ha lanciato l’idea per la creazione di un esercito europeo. Un’idea vecchia perché, come ha fatto notare il premier russo Putin, fu già un pensiero di Chirac e poi di Mitterrand il quale, insieme al cancelliere Khol fu uno dei fautori nel 1992 dell’Eurocorps. Il leader americano Donald Trump ha giudicato immorale la proposta di Macron, senza sapere che la volontà di unire gli eserciti europei sotto un’unica bandiera ha una valenza storica che va ben oltre i propositi di Chirac. Gli americani, com’è noto, fanno spesso a pugni con la storia europea a meno che non tocchi in qualche modo il loro interesse. Se solo i ragazzi di Washington si prendessero la briga di sfogliare un testo di storia militare si accorgerebbero come gli europei abbiano già sperimentato l’idea di un esercito unitario, raggruppato da un unico ideale sebbene imposto manu militari.

Dai mercenari all’esercito nazionale

Se analizziamo qualche ordine di battaglia degli eserciti di Antico Regime ci accorgiamo quanto questi fossero un’accozzaglia di unità mercenarie composte da soldati provenienti da ogni parte d’Europa. Tale fenomeno migratorio dei “mestieranti delle armi” non riguardava soltanto i ranghi inferiori il cui percorso può essere ben rappresentato dalla pellicola Barry Lindon del grande Stanley Kubrik, ma finanche gli ufficiali i quali – tutti nobili di nascita – includevano il servizio militare all’estero come un’importante tappa nella loro formazione. Se ad esempio prendiamo l’esercito francese di Francesco I nel 1522 notiamo che esso era composto per il 71% da truppe mercenarie tedesche, svizzere ed italiane e solo una minima parte di elementi nazionali. Con il passare degli anni l’utilizzo di unità mercenarie al servizio del re di Francia calò bruscamente, ciò nondimeno nell’esercito di Luigi XIV rimasero in servizio reggimenti italiani, svizzeri, irlandesi e anche scozzesi. Allo stesso modo anche le armate sabaude di Vittorio Amedeo II usufruirono largamente di militari prezzolati: alla fine del 1694 – spiega lo storico britannico Chistopher Storrs – il re dovette ricorrere al reclutamento due compagnie tedesche e tre irlandesi per ultimare il secondo battaglione del reggimento del Chiablese. Questa pratica coinvolse quasi tutte le monarchie europee di Antico Regime fino a quando, nella Francia rivoluzionaria del 1789, prese forma l’idea di comporre un esercito nazionale, fondato sul principio che ogni cittadino doveva prestare servizio in armi per la patria.

L’introduzione della legge Jourdan-Delbrel del 1798 segnò di fatto un punto di rottura con il passato, sebbene diversi eserciti che affrontarono la Francia rimasero ancora impostati secondo un modello tradizionale. Le armate rivoluzionare erano dunque mosse da un sentimento nazionalista la cui vocazione era quella di liberare gli altri popoli dall’ignoranza e dall’iniquità delle leggi imposte dall’aristocrazia. Sulla carta i principi del 1789 reggevano bene, anche perché l’approssimarsi delle truppe al canto della Marsigliese sollevò lo spirito di molti popoli bramosi di demolire, una volta per tutte, i vetusti impianti statali di Antico Regime. Nelle nuove idee non figurava più nessun obbligo di fedeltà ad un re nominato da un fantomatico volere divino, nessun contratto d’assunzione per i soldati o differenze sociali: vi era piuttosto uno stato regolato da leggi eque e sorvegliato da un esercito nazionale che incassava come ricompensa la paga giornaliera. Sebbene i principi fondanti fossero davvero carichi di buoni propositi, la realtà fu ben diversa poiché l’irruzione dei soldati francesi si rivelò spesso un trauma malaccetto che generò vere e proprie guerre civili.

Il progressivo sgretolamento degli ideali rivoluzionari e le sconfitte sul campo subite ad opera delle coalizioni anti francesi favorirono un nuovo cambio di rotta con l’avvento al potere di un uomo forte, Napoleone Bonaparte. Il Primo Console, poi autoproclamatosi imperatore nel dicembre 1805, conservò e perfezionò, grazie alle proposte che furono di Lazare Carnot, l’idea di un esercito nazionale nel quale avrebbero militato – volenti o nolenti – tutti i cittadini di un impero le cui fondamenta poggiavano sulle idee generate nel 1789. Ovviamente si trattava di una visione ingannevole e poco realistica poiché, come la storia napoleonica ha dimostrato, i buoni propositi del “piccolo còrso” celavano un’ambizione personale degna del più eccentrico Luigi XIV. Se in Antico Regime l’incorporamento di truppe mercenarie straniere era un fatto opportunistico e puramente economico, l’avvento dell’Impero napoleonico sancì la nascita della Grande Armée, un mostro variegato in cui – almeno sulla carta – la comunione di ideali e l’obbligo della coscrizione fungevano da collante.

La rete di potere familiare intessuta da Napoleone dal 1805 al 1814, ebbe conseguenze importanti sulla legislazione di mezza Europa e ancora oggi godiamo (secondo i punti di vista) di quell’eredità illuminata voluta da un personaggio ancora molto amato dagli europei. Napoleone, nella sua essenza più profonda, era un soldato straordinario che godeva della presenza dei suoi granatieri piuttosto che dei cortigiani. Il suo amore per la guerra però incrinò pesantemente i rapporti che aveva con il popolo, poco incline ad abbandonare il lavoro per farsi uccidere in chissà quale sperduto paese. Ciascuno stato sottomesso o formalmente alleato della Francia doveva garantire all’imperatore un adeguato numero di soldati, accettando di buon grado l’introduzione della coscrizione e le leggi militari imposte dalla legislazione napoleonica.

La Grande Armée: un esercito europeo?

La prima cosa che dobbiamo precisare quando si parla di Grande Armée è come tale definizione differisca dal concetto di “esercito napoleonico”. Lo storico Alain Pigeard ha tracciato una netta separazione tra le due formazioni, sottolineando come la Grande Armée fu nominata per la prima volta in una lettera di Napoleone al suo capo di stato maggiore Berthier il 25 agosto 1805 in occasione della paventata invasione dell’Inghilterra. La massa di soldati riunitasi a Boulogne in quell’anno appartenevano alla prima Grande Armata che poi combatté ad Ulm, Austerlitz, Jena, Eylau e Friedland. Dal 1807 in poi il termine cadde in disuso poiché con l’invasione della Spagna, Napoleone suddivise il suo esercito in armate distinte che presero il nome dal luogo ove erano dislocate (Armata di Spagna, Armata d’Italia, Corpo d’Osservazione dei Pirenei Orientali, Armata d’Andalusia, Armata di Germania, e così via).

Una nuova Grande Armée fu radunata nel 1811, proprio alla vigilia dell’invasione della Russia, dove combatté un esercito simile a quello del 1805, ma molto più numeroso. I corpi d’armata che invasero di domini dello zar Alessandro I furono l’esempio più importante di un esercito europeo, formato da diverse nazioni, piccoli regni, ducati e principati, uniti non tanto da un ideale, ma dalla volontà o dal timore di seguire un uomo nella sua stolta ambizione di potere assoluto.

Fino al 1813 l’Europa era paragonabile ad un’immensa caserma nella quale confluirono reggimenti italiani, svizzeri, spagnoli, portoghesi, tedeschi (quelli della Confederazione del Reno), irlandesi, prussiani, polacchi, greci, dalmati, croati, albanesi, hannoveriani e diverse unità coloniali. Il dato più rilevante era che nessuno di questi reggimenti godeva di un comando indipendente, bensì formavano il tassello di armate eterogenee comandate da marescialli francesi. L’unico generale non francese che assurse al grado di maresciallo fu il polacco Joseph-Antoine Poniatowski, nativo di Varsavia nel 1763; per il resto Napoleone affidò sempre la chiave di comando esclusivamente ai suoi fidati compagni d’arme. Agli stati satellite dobbiamo poi aggiungere i territori incorporati come dipartimenti direttamente dall’Impero: da Parigi fino ad Amburgo Napoleone stabilì 32 Divisioni militari (di cui 4 in Italia facenti capo a Torino, Genova, Firenze e Roma) all’interno delle quali venivano reclutati soldati che avrebbero servito a tutti gli effetti come reggimenti francesi.

Possiamo dunque definire la Grande Armée un esercito europeo? Naturalmente, come abbiamo visto, pochi dei paesi aderenti al regime napoleonico erano consenzienti, ma certamente tutti, almeno al principio, nutrirono fiducia e speranza in Napoleone e nelle sue idee. Il tributo in termini militari preteso dall’impero si dimostrò però un prezzo molto alto da pagare, ma diventò insopportabile quando a questo si aggiunse quello economico culminato con il Blocco Continentale del 1806 che penalizzò diverse economie europee.

Eppure – qualcuno lo spieghi a Trump – proprio quel coacervo di nazionalità in armi furono all’origine di una nuova coscienza europea, poi sviluppatasi con i moti rivoluzionari che, nei decenni successivi, sconquassarono l’ordine ristabilito dalla Restaurazione. Molti uomini che guidarono l’indipendenza italiana avevano maturato esperienza nelle campagne napoleoniche; molti di essi compresero a proprie spese la brutalità di una dominazione straniera soprattutto durante la campagne di Spagna nel 1808, dove il nemico era il guerrigliero iberico, ma anche il soldato francese.

La vocazione di “comunione militare” albergava necessariamente anche in chi avversò gli ideali bonapartisti, costretto ad unirsi in diverse coalizioni. Quello che però gli eserciti inglesi, prussiani, austriaci e russi non ebbero mai fu il principio dell’unità di comando poiché i vari Arthur Wellesley, Gebhard von Blücher, Karl Philipp Schwarzenberg o Ludwig Yorck von Wartenburg agirono sempre come unità nazionali indipendenti, guidate dai propri interessi particolari. L’idea di esercito europeo voluta inconsciamente da Napoleone era proprio questa: servire in armi per un unico ideale, con un unico comandante. Un esercito votato alla protezione dell’Impero certo, ma legato da leggi e interessi economici comuni.

Conclusione

Francamente è difficile comprendere come la proposta di un esercito europeo possa essere giudicata offensiva da un presidente americano e soprattutto da un leader come Trump che di “offese” a terzi non può proprio parlare. L’idea di Macron ovviamente rientra in quella grandeur che tanto infastidisce i partner europei, ma dalla quale dovremmo forse imparare qualcosa tutti, soprattutto noi italiani. Proprio grazie a questa mania di grandezza la Francia è riuscita a ricucire lo strappo subito durante la seconda guerra mondiale, ma soprattutto a trasformare miracolosamente in vittorie una serie innumerevole di sconfitte subite dopo la caduta di Napoleone Bonaparte.

I tracolli dell’esercito francese sono paragonabili a quelli italiani: il debito che la Francia ha rispetto gli alleati è altissimo e proprio nella prima guerra mondiale non ha goduto di una vittoria totale paragonabile alla nostra. Eppure il seme generato dalla Rivoluzione e poi da Napoleone (che di francese aveva ben poco) ha portato la Francia a proporsi sempre nei tavoli della diplomazia come un interlocutore vincente e fondamentale per qualsiasi trattativa. Questa immagine – costruita con sapienza e intelligenza – è il frutto di uno sciovinismo nazionale che ha dato al popolo transalpino quella coesione che risulta deficitaria in altri governi, ma soprattutto in altri popoli.

Che l’idea di un esercito europeo nasca proprio a Parigi è coerente con un filone storico considerevole, ciò nondimeno la sua attuazione potrebbe cozzare sulle barriere di un’Europa ancora fragile, disunita e ancora troppo asservita agli interessi oltreoceano.

(foto: Eliseo / web / U.S. Marine Corps)