La catena di comando e controllo degli scramble

17/03/14

Il 7 marzo, sono decollati in scramble dalla base aerea di Ramat David, caccia F-16 della Heyl Ha’Avir, l’Aeronautica Militare israeliana, per  intercettare aeromobili siriani in avvicinamento alle alture del Golan, impegnati in azioni di interdizione al suolo contro le forze antigovernative.

Gli incursori hanno prontamente desistito dalla loro missione appena allertati dell’approssimarsi degli F-16.

Quello dello scramble è un processo che prevede una serie di passaggi che sono oggetto di continuo addestramento, per ottimizzare i tempi e le risorse.

Come tutte le aeronautiche tecnicamente avanzate, la nostra forza aerea, ha la “mission” di assicurare 24 ore su 24 e per tutti i giorni dell’anno il controllo e la difesa dello spazio aereo.

Per assolvere egregiamente a tale compito, sono necessari velivoli concepiti per una elevata prontezza operativa. Per questa particolare missione, erano eccezionali gli F-104, i quali potevano decollare su allarme entro cinque minuti dal momento in cui era stata dichiarata l’emergenza, la finalità era intercettare e, se necessario, neutralizzare la minaccia.

In gergo aeronautico è definito “scramble”: la cellula di allarme era formata da due velivoli, detti allerta due, due piloti, 4 tecnici specialisti, due armieri ed un autista. L’operazione era coordinata dal Sector Operation Centre che riceveva i dati dai sistemi radar di difesa, ne analizzava le tracce ed in caso di un aeromobile non identificato, ordinava al Centro di Riporto e Controllo il decollo immediato ed infine, il Combat Operation Center, della base aerea interessata, chiamava i piloti in turno di allarme.

Al suono della sirena, tutto si svolgeva con rapidità e precisione: i piloti si precipitavano verso gli shelters, ubicati sempre nelle vicinanze della Palazzina Allarme dove alloggiava il personale militare, salivano a bordo dei caccia già riforniti ed armati, indossavano il casco, si assicuravano al seggiolino eiettabile e controllavano che gli specialisti avessero già dato aria all’unità di alimentazione di terra.

Subito dopo il controllo della radio sulla frequenza UHF, contattavano la torre di controllo ed ottenuto il permesso di uscire dagli shelters, conducevano il velivolo intercettore al punto attesa. Durante il rullaggio eseguivano tutti i controlli pre-volo.

In testata pista gli armieri toglievano le protezioni dell’armamento, mentre nell’abitacolo il pilota raccoglieva le informazioni iniziali relative allo scramble, fornite sempre dalla torre.

Gli altri dati venivano comunicati agli equipaggi dopo il decollo dal controllore Guida Caccia Intercettori, colui che li indirizzava verso il target.

Attualmente molto è rimasto simile, ma i tempi di reazione si sono dilatati a 15 minuti e la catena di comando è coordinata dal Comando Operazioni Aeree di Poggio Renatico, i caccia una volta decollati sono guidati verso il target dai controllori di intercettazione a terra nei siti radar dei Gruppi Riporto e Controllo, sempre a Poggio Renatico, dal 21° Gruppo Radar di Poggio Ballone e dal 22° di Licola.

Le funzioni di comando e controllo degli intercettori della difesa aerea, in ambito NATO, è devoluta al CAOC di Torrejon in Spagna. Gli aeroporti in prontezza operativa sono quelli di Grosseto e Gioia del Colle, a questi da poco si è affiancato Trapani.

Il “pronti in cinque”, si è perso a causa degli elevati costi e delle capacità operative dei nuovi velivoli, non più progettati esclusivamente per il combattimento aereo o l’attacco al suolo. La tecnologia ha consentito ai progettisti di non limitare la funzione di un singolo velivolo all’intercettazione od al bombardamento, ma hanno fuso nel caccia “multiruolo” tutte le necessità operative richiedibili ad un aviogetto.

Dopo la caduta del blocco sovietico, l’Aeronautica Militare ha iniziato a rivedere non solo le funzioni principali di un aeromobile, ma anche la strategia per la difesa aerea della nostra nazione e dunque ha spostato l’attenzione principalmente verso lo scacchiere dell’Africa mediterranea e del vicino Oriente, né è prova la scelta geografica delle basi aeree ubicate nel sud-est della penisola e la riduzione degli aeroporti interessati alla prontezza operativa.

Giovanni Caprara

(Foto:IAF / archivio)