Il terrorismo individuale: Abu Musab al-Suri

(di Paolo Palumbo)
16/10/17

I recenti attentati che hanno colpito alcune tra le più note capitali europee dimostrano un mutamento nella strategia del terrorismo islamista il quale sembra aver ridotto ulteriormente il rapporto costo/beneficio di ogni singola azione. Giovani, in alcuni casi già noti alla giustizia, hanno agito in modo inaspettato, usando armi leggere e mezzi improvvisati, per seminare panico tra la folla. Alcuni analisti hanno rilevato una flessione circa i risultati conseguiti da ogni singolo attacco, tuttavia i terroristi sono riusciti nel loro intento primario, mettendo in crisi i sistemi di sicurezza dei Paesi colpiti. Questo, di per sé, è già un ottimo risultato: un attentato come quello di Londra, apparentemente inefficacie, ha comunque paralizzato un’intera città, causando feriti e gravi ripercussioni sulla quotidianità dei londinesi. Se è vero che le azioni rivendicate dallo Stato Islamico non hanno sortito l’effetto desiderato, è altrettanto significativo che gli occidentali continuino a non disporre degli anticorpi necessari per metabolizzare questo tipo di aggressione. Se paragonata al passato più recente, è indubbio che l’operatività delle cellule terroriste stia effettivamente attraversando una parabola decrescente: sia per le gravi sconfitte subite sui campi di battaglia, sia per le misure sempre più restrittive imposte dalle forze dell’ordine. Sarebbe però un grave errore abbassare la guardia: è noto, infatti, che le tattiche del terrorismo seguono di pari passo l’evoluzione dei sistemi di sicurezza messi in atto dallo stato.

Violenza e purismo religioso

Tutti gli attentati occorsi fino a questo momento sono stati rivendicati dallo Stato Islamico il quale, in grave affanno sul fronte siro-iracheno, ha aperto una subdola linea di fuoco sulle strade delle capitali occidentali. L’interrogativo è se effettivamente l’ISIS abbia o meno un controllo operativo su ciascun attacco, oppure – opzione più verosimile – ne assuma soltanto un’opportunistica paternità ideologica. Qualunque sia il ruolo giocato da Daesh, è bene sottolineare come questi episodi seguano comunque una strategia comune che discosta gli autori materiali dei raid dalla definizione – sempre più incerta – di “lupi solitari”. Le linee guida di questo modus operandi non sono affatto una novità, ma soprattutto non appartengono allo Stato Islamico, bensì ad al-Qaeda.

Nel novembre 2005 un’azione mirata della polizia pakistana di Quetta condusse al fermo di uno jihadista i cui tratti somatici si distinguevano dagli altri per una folta barba rossa. Il suo nome, Mustafa Setmariam Nasar alias Abu Musab al Suri era in cima alla lista dei ricercati dall’intelligence di mezzo mondo che avevano identificato in lui uno degli teorici più spietati dell’organizzazione di Osama bin Laden. Siriano di origine, Mustafà sposò un’europea, acquisendo la cittadinanza spagnola per poi trasferirsi a Londra, nei sobborghi di Neasden. Dopo anni di clandestinità e silenzio il suo nome tornò alla ribalta nel corso delle indagini post attentato della metropolitana: non come diretto attentatore, bensì come organizzatore e ispiratore1. Il curriculum di al Suri ricalcava quello di molti militanti di al-Qaeda: guerrigliero in Afghanistan durante l’invasione sovietica e, dal 1988, una stretta amicizia con Osama bin-Laden le cui opinioni divergevano rispetto alcune scelte strategiche e visioni dottrinali. Al Suri non approvava la teatralità dello sceicco saudita, arrivando persino a biasimare l’azione contro le Torri americane. Su questo punto la visione jihadista di al Suri coincideva con quella di un altro criminale, l’iracheno Abu Musab al-Zarqawi anche lui seguace del palestinese Abu Muhammad al-Maqdisi2. Una volta crollato il regime talebano, Abu Musab rientrò nell’ombra dedicando tutto il suo tempo alla stesura di The Global Islamic Resistence Call postato su internet nel novembre del 2004.

Le 1600 pagine redatte dal siriano rappresentavano un compendio militare ispirato delle speculazioni più estreme dello jihadismo salafita: “who are primarily military strategists, and whose main preoccupation is political outcome, not doctrinal purity3.

Abu Musab al Suri disdegnava essere definito un clerico, preferendo l’etichetta a lui più confacente di stratega del terrorismo, il cui interesse puntava in prevalenza sui risvolti politici del jihad. Questa sua interpretazione, strettamente marziale e scevra da ogni visione mistica, cozzava con l’insegnamento di molti religiosi che lo criticarono di deviare l’attenzione dei combattenti dal reale significato della loro missione.

Brynjar Lia, autore di una biografia dedicata al terrorista, ha sottolineato una conflittualità tra i puristi salafiti e lo stesso al-Suri a cui - contrariamente a bin Laden – non importava nulla della legittimazione clericale, giudicandola a priori ostile e fuorviante: “Their clerics mislead the mujahidin and turned them away from the battlefieldby preaching loyaltyto corrupt rulers who had allied themselves with the infidels4. Dopo la caduta dei talebani, le forze alleate recuperarono sei videotape registrati da al-Suri mentre impartiva lezioni teoriche di jihad nel suo campo d’addestramento di al Ghuraba. Secondo alcuni testimoni il siriano era un teorico, ciò nondimeno aveva la fama di essere un istruttore severo e violento: “I trained in it [al Ghuraba] many Arabs and non-Arabs. Infidels and apostates have tasted the strenght of some of my trainees in central Asia…5.

Terrorismo individuale

Secondo il pensiero espresso da al-Suri, i gruppi terroristici del passato avevano sostanzialmente fallito la loro missione, poiché dipendenti da una struttura interna gerarchica e centralizzata. La stessa al-Qaeda, all’inizio, presentava caratteristiche simili, poi modificate a causa delle contingenze belliche. Al-Suri suggeriva un modello più duttile, minimale e lungimirante basato sul terrorismo individuale e le piccole cellule. Nelle pagine del suo trattato The Global Islamic Resistence Call l’autore rimarcava il potenziale di queste operazioni definite “spontanee”, apparentemente senza alcuna connessione tra loro le quali: “have put the local and international intelligence apparatuses in a state of confusion6. Oltretutto operare in modo isolato costituiva un ulteriore vantaggio giacché rendeva i terroristi meno vulnerabili alle fitte maglie degli investigatori: se una cellula veniva scoperta, un’altra era subito pronta ad agire indisturbata. Dal punto di vista mediatico questo tipo di attacchi ottenevano un duplice risultato: scatenavano la paura tra le gente, ma soprattutto incoraggiavano altri mussulmani frustrati ad emulare le imprese dei loro correligionari. “The issue of individual jihad” – spiegava al-Suri – was a great da’wah success. It had great influence on awakening the spirit of jihad and resistance within the ummah, and it trasformed unknown individuals […] into becoming symbol of a nation7. Le teorie sul terrorismo individuale coincisero con le nuove esigenze di al-Qaeda che, dopo l’11 settembre, dovette necessariamente ristrutturarsi in un organismo più flessibile e decentrato. Lo stesso termine al-Qaeda, “la base”, perse il suo significato originale, trasformandosi in un marchio, un principio e un metodo operativo8. Il saggio di Abhijnan Rej, The Strategist: How Abu Mus’ab al-Suri Inspired ISIS, ha chiarito una volta per tutte la differenza tra le definizione di “lupo solitario” rispetto il profilo di attentatore tratteggiato nel testo di al-Suri. Gli attentatori di Parigi, Bruxelles, Londra o Barcellona – secondo i principi di The Global Islamic Resistence Call – appartenevano a cellule decentralizzate, ma tutti rispondevano a quella che Rej definisce una “chiamata” o piuttosto un “appello” per associarsi ad un sistema molto più ampio con: “a common aim, common name, common doctrinal jihadi program and a comprising educational program9. Continuare a definirli “lupi solitari” sarebbe dunque un errore che potrebbe trarre in inganno sui reali scopi di ogni singola azione e i possibili sviluppi.

Se schematizziamo la teoria di al-Suri (immaginata da Rej come un grafico di cerchi concentrici) notiamo come al centro esista effettivamente un nucleo direttivo collegato ad un secondo cerchio di unità decentralizzate le quali a loro volta entrano in connessione, tramite bay’at (giuramenti di fedeltà), con un terzo anello, svincolato e separato (dal punto di vista logistico) da tutti gli altri. Le unità autonome che gravitano all’esterno sono quelle che: “are in contact with a militant group via online communication but not receive specific instructions about carrying out an attack10.

Secondo al-Suri ai fedeli spettava il sacro dovere di colpire ogni paese avversario, anche come forma di rappresaglia: “The basic idea is that any operation which kills civilians or harms faithful muslims, or any actions performed by troops of the country at war, should be met with an equally deterring action11.

Open Front

Un altro perno attorno al quale ruota la teoria militare jihadista di al-Suri e quella del fronte aperto, o “Open Front jihad”. Questo non è altro che un terreno di scontro molto esteso (Iraq, Afghanistan o Siria) nel quale intrappolare il nemico per costringerlo ad una guerra asimmetrica logorante e dispendiosa. Solo in questo modo gli jihadisti possono aver ragione di un nemico tecnologicamente superiore: “It is not possible” – argumenta al-Suri – “for a few jihadi organizations, or for tens or hundreds of mujahidin and there, to deter this fierce international attack…It is absolutely necessary that the Resistance transforms into a strategic phenomenon…after the pattern of the Palestinian Intifada against the occupation forces, the settlers and their collaborators12. Al-Suri ha delineato, inoltre, le caratteristiche morfologiche ideali di un terreno sul quale combattere: ampio, ma soprattutto con punti di accesso controllabili e luoghi ove i combattenti non potessero essere assediati o accerchiati.

Per ovvie ragioni la dottrina dell’Open Front si sposa a quella del terrorismo individuale. Lo stratega di al-Qaeda riconosce nel fronte militare un campo di addestramento ottimale per tutti coloro che, in seguito, desiderano combattere da soli o costituirsi in piccole cellule. Il caso dei Foreign Fighters esemplifica in modo perfetto la pratica suggerita da al-Suri: “Some elements working in the field of recruitment and the building of cells can benefit from the Open Fronts, by recruiting some of the elements coming to fight jihad, selecting them, and sending them to operate in their countries, or wherever they are able to operate in the field of individual or cell terrorism13.

Alla luce di quanto espone al-Suri possiamo affermare che, sebbene gli attacchi jihadisti stiano perdendo di spettacolarità, restano comunque un fattore imprevedibile e destabilizzante. Senza contare poi che lo stesso al-Suri è sempre stato un accanito sostenitore per l’impiego di armi di distruzione di massa. La critica a bin Laden sull’attentato alle Torri Gemelle riguardava proprio questo, ovvero il numero di vittime causate le quali, se fossero state utilizzate armi chimiche, sarebbe stato mille volte superiore: “I feel sorry because there were no weapons of mass destruction in the palnes that attacked New York and Washington on 9/11. We might have been relieved of the biggest number possible of voters who elected Bush for a second term!14.

Lo Stato Islamico sta andando verso una sconfitta militare umiliante e questo priverebbe gli jihadisti di un bacino di reclutamento importante. Una delle probabili conseguenze di questo tracollo sarebbe il rientro massiccio di Foreign Fighters nelle loro rispettive terre d’origine (Europa in primis) i quali formerebbero – insieme ad altri mussulmani – delle cellule dormienti, ma soprattutto militarmente preparate.

(foto: web)

1 P. Cruickshank-M. Hage Ali, Abu Musab Al Suri: Architect of the New Al Qaeda, in “Studies in Conflict & Terrorism, 30, 2007, p. 1. URL: http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10576100601049928?journalCode...

2 Abhijnan Rej, The Strategist: How Abu Mus’ab al-Suri Inspired ISIS, in “Occasionale Paper”, August, 2016, p. 3. URL: http://www.orfonline.org/research/the-strategist-how-abu-musab-al-suri-i...

3 Brynjar Lia, Abu Mus’ab al-Suri’s Critique of Hard Line Salafists in the Jihadist Current, CTC Sentinel, December 2007, Vol. 1, Issue 1, URL: https://ctc.usma.edu/posts/abu-musab-al-suri’s-critique-of-hard-line-salafists-in-the-jihadist-current

4 Ibidem.

5 Peter L. Bergen, The Osama bin Laden I Know, New York-London-Toronto-Sydeny, 2006, p. 184.

6 Abu Musab al-Suri, The Global Islamic Resistance Call, p. 9.

7 Ibidem.

8 Rej, cit. p. 5.

9 Ibidem, p. 6.

10 Ibidem, p. 9.

11 The Global Islamic Resistance Call, p. 17.

12 Ibidem.

13 Ibidem, p. 21.

14 Cruickshank-Hage Ali, cit., p, 6.