I pesi massimi di Boeing per la proiezione della potenza USA

(di Leonardo Chiti)
23/06/17

William Edward Boeing (1881-1956), nasce a Detroit, in Michigan. Lasciati gli studi alla Yale University, nel 1903 si trasferisce nello Stato di Washington dove, nella contea di Grays Harbor, intraprende l’attività del commercio di legname utilizzato nell’edilizia, nella costruzione di imbarcazioni e dei primi aerei. Nel 1908 si stabilisce nei dintorni di Seattle, in una località attraversata dal Duwamish River che lungo il suo corso ospita gli impianti della Heath’s Shipyard, a cui Boeing commissiona la costruzione di uno yacht per dilettarsi nella navigazione fluviale.

Nel corso dei lavori l’impresa di Edward Heath sarà interessata da gravi difficoltà finanziarie che la trascinano verso la bancarotta. Nel marzo del 1910 Boeing interviene rilevandone l’attività e divenendo così proprietario dello stabilimento destinato ad essere la prima sede della futura Boeing Company.

Nel 1916 decolla il primo velivolo battezzato B&W (dalle iniziali dei cognomi di Boeing e dell’ufficiale della US Navy, suo socio e amico, George Conrad Westervelt), un biplano idrovolante il cui assemblaggio era stato ultimato nell’hangar costruito l’anno precedente sulle sponde di Lake Union, sempre nelle vicinanze di Seattle. Il 15 luglio dello stesso anno i due associati fondano la Pacific Aero Products Company che nel 1917, dopo che Westervelt aveva lasciato l’azienda, diventa la Boeing Airplane Company.

Intanto, pur mantenendo i piloti il fascino avventuriero appannaggio di “quei temerari sulle macchine volanti”, a meno di 15 anni dal primo “volo” (il 17 dicembre 1903, sulle spiagge di Kitty Hawk, nel North Carolina, il Flyer si alzò da terra di alcuni metri percorrendone 36 in 12 secondi e il più lungo degli altri voli compiuti nella stessa giornata non superò i 59 secondi), di cui furono protagonisti i fratelli Wilbur e Orville Wright, l’attività aeronautica si era già avviata ad un progressivo superamento del proprio carattere romantico-pionieristico, per assumere i tratti di una vera e propria industria.

Uno dei primi e più influenti teorici del potere aereo, Giulio Douhet (1869-1930), aveva infatti affermato: l’impianto dell’industria aviatoria in Italia non si effettuò senza gravi traversie per due speciali ragioni: 1) la difficoltà di creare specialisti e maestranze adatte; 2) la credenza errata, nella quale molti caddero, che il costruire apparecchi di aviazione fosse cosa facile e largamente remunerativa (Paolo Ferrari, a cura di, “L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento”, Franco Angeli, 2004).

Le rotte commerciali che iniziavano a collegare i quattro angoli dell’America del Nord e dell’Europa necessitavano di aeroplani sempre più veloci, con maggiori capacità in termini di carico e autonomia, e che comportassero costi compatibili con la redditività del servizio. Nel 1927 il costruttore di Seattle fonda la propria compagnia di trasporto, Boeing Air Transport, che successivamente confluirà nella United Airlines e alla quale si deve l’introduzione della figura di “hostess dell’aria”. La capostipite della categoria sembra infatti sia stata Ellen Church (1904-1965), un’infermiera che il 15 maggio 1930 iniziò la sua nuova attività sul volo San Francisco-Chicago, a bordo di un Boeing 80 della BAT che trasportava 12 passeggeri.

L’8 febbraio 1933 si registra un primo punto di svolta tecnico-progettuale con il volo del prototipo del Boeing 247 (foto), considerato il primo dei moderni aerei passeggeri. Questo velivolo ad ala bassa, nella quale erano annegati i due motori e dotata di impianto antighiaccio su tutto il bordo d’attacco (dispositivo presente anche sugli impennaggi cruciformi), era stato concepito nella seconda metà del 1932 come derivato del bombardiere Model 215, e fu il precursore di una serie di apparecchi che a ridosso della Seconda Guerra mondiale rivoluzionarono il trasporto commerciale, a partire dal Douglas DC-3.

Una piazzaforte può certamente servire come base per sortite offensive ma le fortificazioni a fronte bastionato - edificate a partire dal XV secolo con l’introduzione generalizzata delle armi da fuoco e dotate di pezzi d’artiglieria disposti lungo le cortine e sui torrioni - costituivano soprattutto un fattore di stabilità e un presidio per la salvaguardia e l’esercizio del potere politico-militare. Lo sviluppo delle componenti aeronavali delle Forze Armate ha aggiunto la mobilità alla protezione offerta dalle strutture difensive e dalle bocche da fuoco di queste fortificazioni, facendone uno strumento della proiezione di potenza che esprime al meglio la sintesi dialettica fra attacco e difesa.

Così come il galeone – tipica unità da guerra navale dei secoli XVI e XVII, progenitrice dei vascelli della tarda età moderna e armata con almeno 30 cannoni – ha esteso il concetto di fortezza dalla terraferma alla superficie marina, i grandi bombardieri costruiti dalla Boeing ne hanno segnato l’esordio nella dimensione aerea.

Il primogenito è stato il B-17 Flying Fortress (foto) il cui prototipo si è alzato in volo il 28 luglio 1935 per entrare in sevizio l’anno seguente. La sua produzione iniziale si limitò a una quarantina di esemplari, per poi crescere rapidamente dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale, arrivando a toccare per le sole due ultime varianti, F e G, le 12.000 unità. Il B-17 costituì lo strumento di messa a punto delle tecniche di bombardamento strategico basate anche su incursioni diurne, condotte da formazioni sempre più numerose. Le sue dotazioni difensive, rappresentate dalla blindatura e da 13 mitragliatrici Browning da 12,7 mm, erano state pensate con l’intenzione di poter andare in missione senza la protezione dei caccia.

Nonostante il B-17 fosse in effetti di eccezionale robustezza e capace di “ritrovare la via di casa” anche avendo subito gravi danni, le elevate perdite delle prime sortite, dovute anche alla politica degli attacchi diurni finalizzata ad una maggiore precisione nello sgancio degli ordigni, indussero a più miti consigli e allo sviluppo di caccia di scorta a lungo raggio fra i quali, come si è già visto, si distinse il North American P-51 Mustang.

Seppur impiegato su tutti i fronti, il B-17, con un raggio operativo di 3.200 km e un carico bellico di 8 tonnellate di bombe a caduta, aveva nel teatro europeo il suo ambito operativo di predilezione, mentre per soddisfare la richiesta dell’US Army relativa ad un bombardiere pesante per il versante del Pacifico, venne sviluppato il B-29 Superfortress (foto seguente a sx), un altro quadrimotore con 6.600 km di autonomia, capace di imbarcare 4,1 tonnellate di ordigni e armato con 10 mitragliatrici da 12,7 mm e un cannoncino da 20 mm.

Il primo volo venne effettuato il 21 settembre 1942 e, come si sa, il B-29 è stato il primo bombardiere strategico con capacità nucleare dato che la sua fama è legata allo sgancio delle bombe atomiche che hanno colpito Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945.

Durante la Guerra Fredda il bombardiere nucleare ha simboleggiato più di qualsiasi altro sistema d’arma (si pensi alle pellicole della prima metà degli anni ’60, “Il dottor Stranamore” e “Fail-safe. A prova di errore”, dirette rispettivamente da Stanley Kubrik e Sidney Lumet), l’incubo atomico della MAD (Mutual Assured Destruction), e i primi modelli a ricoprire questo ruolo sono stati il Boeing B-50, in pratica una versione avanzata del B-29 con il quale inizierà ad avvicendarsi dal 1947, e il B-36 Peacemaker della Convair (ex Consolidated Vultee Aircraft).

Entrambi furono però ben presto messi in ombra dal primo bombardiere strategico a reazione, l’esamotore Boeing B-47 Stratojet, che debuttò in volo il 17 dicembre 1947 per poi entrare in servizio nel 1950 e la cui versione di maggior successo (la E), fu costruita in oltre 1.600 esemplari. Poteva trasportare 10 tonnellate di ordigni a caduta, la velocità massima toccava i 975 km/h e l’autonomia di 6.440 km era aumentabile con il rifornimento in volo, caratteristica che, assieme a un’ala a freccia di 35 gradi e motori in gondole subalari, venne ulteriormente sviluppata nel passaggio al B-52 Stratofortress.

Dopo un doppio debutto con due distinti prototipi, YB-52 e XB-52, rispettivamente ad aprile e ottobre 1952, lo Stratofortress (foto) ha preso servizio presso l’USAF nel 1955, presentandosi con una lunghezza di 49,4 metri, un’apertura alare di 56,3 e un carico bellico, nucleare o convenzionale, di oltre 27 tonnellate. I suoi otto motori gli consentivano una velocità massima di 1.046 km/h con un’autonomia di 16.000 km.

La parabola aziendale del costruttore di Chicago-Seattle evidenzia ancora una volta quanto siano sfumati e porosi i confini tra produzione civile e militare, i cui ambiti progettuali e realizzativi sono interconnessi nella generalità del tessuto economico-sociale. Questo rapporto trova la sua conferma anche all’interno del perimetro di attività di grandi gruppi industriali, dove la dinamica produttiva civile-militare non manca di fornire esempi di ispirazione reciproca e proficua collaborazione.

Potendo contare su una flotta composta da B-47 e B-52, l’aeronautica degli Stati Uniti (e in particolare lo Strategic Air Command), disponeva di una formidabile forza d’attacco nucleare, il cui potere di deterrenza doveva basarsi su formazioni di bombardieri sempre in volo, pronti a rispondere con immediatezza ed efficacia in caso di aggressione atomica da parte dell’Unione Sovietica. Questa modalità d’impiego rendeva la capacità operativa degli stormi da bombardamento ancora più dipendente dalla componente di rifornimento in volo, nella quale erano in servizio i KB-50 e soprattutto i KC-97, versione aviocisterna del Boeing C-97 Stratofreighter, aereo da trasporto militare in servizio dal 1944 al 1978, e utilizzato anche come unità per le contromisure elettroniche e in missioni SAR (Search And Rescue).

Questi velivoli ad elica erano ormai inadeguati e la loro lentezza costringeva i bombardieri ad effettuare il rifornimento a velocità che rasentavano pericolosamente quella di stallo. Tale problematica era nota da tempo ai vertici della Boeing che, all’avvio della progettazione di un nuovo jet per il trasporto passeggeri all’inizio degli anni ’50, posero la condizione che fosse capace di operare sia in ambito commerciale, sia come cisterna militare. La ditta di Seattle mise a frutto la propria esperienza nei grandi aerei a getto maturata con la realizzazione del B-47 che costituirà la base progettuale per il 707 (foto), il primo grande velivolo passeggeri a reazione, che esordì in volo il 15 luglio 1954, conseguendo successivamente un grande successo di vendite.

Prima di proporre alle compagnie aeree il 707, Boeing si assicurò una quota di ordinativi da parte dell’USAF attirandone l’attenzione con la versione Model 367 Dash 80, adatta per il trasporto militare e il rifornimento in volo, operazione la cui fase di aggancio risultava facilitata grazie all’introduzione di un sistema a sonda rigida azionabile da un operatore in posizione caudale, che permetteva anche una maggiore velocità di trasferimento del carburante.

A tre mesi dal primo volo, compiuto il 31 agosto 1956, iniziarono le consegne degli esemplari di serie con la denominazione KC-135 Stratotanker (foto) che si presentava con una velocità di 940 km/h, un rateo di rifornimento tra 700 e 1.000 litri/minuto (a seconda del modello di aereo rifornito), e nei suoi 15 serbatoi poteva imbarcare 91 tonnellate di carburante (tra 114.000 e 127.000 litri a seconda della tipologia e della composizione del combustibile usato). Con la versione R, entrata in scena nel 1982 si sono superate le 100 t di carburante trasportabile, oltre ad un massimo di 80 passeggeri o circa 7,2 t di carico stivabili nella parte superiore della doppia fusoliera, mentre quella inferiore ospita i serbatoi e i dispositivi di rifornimento.

Essendo già pienamente operativo, venne ordinato in 250 esemplari, scavalcando il Lockheed L-193, vincitore ufficiale della gara del 1955. L’azienda californiana si prenderà la rivincita nella versione cargo dato che il suo C-141 Starlifter, entrato in servizio nel 1965, praticamente soppianterà il Boeing C-135 Stratolifter, gemello dell’aerocisterna e impiegato nei ranghi USAF dal 1962.

A seguito dell’esito positivo dei test per il conseguimento della certificazione Milestone C (initiates production and deployment), che prevedono dimostrazioni di rifornimento in volo di aerei rappresentativi di differenti taglie e ruoli operativi (fra i quali figurano gli F-16 e i C-17), lo scorso agosto il Pentagono ha dato il via libera alla produzione del nuovo rifornitore Boeing KC-46 Pegasus (foto seguente), già selezionato nel 2011 dall’USAF e il cui ordine iniziale è di 19 apparecchi per 2,8 miliardi di dollari, primo lotto di una fornitura complessiva di 179 unità per un valore di 49 mld.

Rispetto allo Stratotanker vanta una capacità di carico utile notevolmente superiore e un’autonomia accresciuta di 4.000 km, grazie a minori consumi. Nel luglio del 2015 il nuovo tanker della Boeing è stato scelto dal governo giapponese per il rinnovo della flotta in dotazione alle proprie “forze di autodifesa”, mentre la Corea del Sud ha optato per l’Airbus A-330MRTT (Multi Role Tanker Transport), derivato dal liner A330-200.

Sul KC-46 l’addetto al rifornimento opera da una postazione AROS (Air Refueling Operator System), equipaggiata con occhiali 3D e telecamera per la visione notturna. Il cockpit è derivato dal 787 Dreamliner ma la piattaforma su cui si basa il Pegasus è il 767-200, modello appartenente ad una serie di velivoli per il trasporto merci e passeggeri (con capienza da 181 a 304 posti), che ha superato i 1.000 esemplari assemblati.

Il 767 venne progettato per tenere a debita distanza il gruppo europeo Airbus che, con il suo A-300, ambiva ad insidiare le posizioni della Boeing, in particolare nel segmento di mercato dei collegamenti a medio raggio. L’impresa americana rispose allora con questo aereo dalla fusoliera del tipo wide body, caratteristica ereditata da una famiglia di velivoli dalle origini militari.

Negli anni ’60 Boeing partecipò alla gara indetta dall’USAF per un nuovo grande velivolo da trasporto che alla fine vide prevalere il C-5 Galaxy della Lockheed. Il gruppo dirigente dell’azienda di Seattle, presieduto da Bill Allen, decise allora di ricavarne un grande aereo per il trasporto passeggeri, dando così seguito alla richiesta avanzata in tal senso dal “mitico” fondatore e presidente della Pan Am, Juan Trippe.

Denominato Model 747, questo velivolo – capace di accogliere 568 persone nella variante 747-400 - fonderà la stirpe degli wide body, guadagnandosi il soprannome di Jumbo Jet per le sue dimensioni: quasi 20 metri di altezza (come un palazzo di sei piani), per 70 di lunghezza, con una fusoliera larga 6,13 m e che sfrutta al meglio lo spazio dalla coda al muso, ottimizzato dallo spostamento della cabina di comando e della prima classe in un ponte superiore.

Noto anche come Queen of the skies, il 747 (il cui padre progettuale, Joe Sutter, è scomparso il 30 agosto 2016 all’età di 95 anni), ha avuto la sua parte nella competizione spaziale fra USA e URSS, essendo stato impiegato nelle fasi di collaudo e verifica operativa dello Shuttle. La prima navetta costruita è stata l’OV-101 Enterprise, assemblata tra il giugno del 1974 e il settembre del 1976 ed ha effettuato i test iniziali, riguardanti l’aerodinamica e l’elettronica, tra il 18 febbraio e il 2 marzo 1977.

Le prove, svolte presso il NASA Dryden Center alla base di Edwards, in California, hanno visto l’esecuzione di cinque voli con l’Enterprise privo di equipaggio e installato sul dorso di un 747. Stesso assetto adottato per la seconda fase condotta nei mesi successivi di giugno e luglio, con stavolta gli astronauti a bordo per il controllo del corretto funzionamento di tutti i sistemi dello Shuttle.

Anche Mosca per il suo programma spaziale aveva bisogno di un apparecchio capace di portare “a cavalluccio” il Buran (foto), corrispettivo sovietico dello Shuttle. La soluzione fu l’Antonov-225 Mriya (sogno), sviluppato a partire dal quadrimotore a reazione da trasporto strategico (16.000 km di autonomia), An-124 Ruslan, conosciuto in ambito NATO come Condor.

Sull’An-225 (Cossack secondo la denominazione NATO), l’apertura alare passava da 73,3 a 88,4 metri e la lunghezza da 69,1 a 84, la capacità di carico da 150 a 250 tonnellate e il peso massimo al decollo da 405 a 600, mentre l’equipaggio si conferma composto da sei membri. Per il necessario adeguamento di potenza vennero aggiunti altri due motori, ottenendo così una velocità massima di 850 km/h, di poco inferiore agli 865 km/h del Ruslan.

Aviocisterne e grandi aerei cargo sono il presupposto operativo per la proiezione internazionale delle Forze Armate di una grande potenza, tanto che, oltre un determinato livello di mobilitazione, viene fatto ricorso al noleggio di flotte private. Essendo la Difesa americana, per posizione geografica e status politico di prima potenza mondiale, un grande consumatore di logistica, il Pentagono figura fra i più importanti clienti dei servizi di trasporto offerti dalle compagnie commerciali.

La rete di basi all’estero e i siti individuati e allestiti nel quadro dei programmi di preposizionamento, devono essere riforniti e dall’entrata in scena dell’industria aeronautica, il ricorso alla forza militare nella risoluzione delle controversie tra potenze, ha messo in evidenza in numerose occasioni l’importanza della componente “avio-logistica” per la riuscita delle proprie azioni coercitive o per neutralizzare quelle della controparte.

Come ritorsione all’insediamento di un governo della Germania Ovest nei settori di Berlino assegnati a Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, il 24 giugno 1948 i sovietici bloccarono tutti i movimenti in entrata e uscita dalla città. Facendo principalmente ricorso all’Aviazione USA e alla RAF, le potenze occidentali crearono un ponte aereo con cui rifornirono i propri presidi fino alla revoca del blocco nel maggio del 1949.

Per dare un’idea delle dimensioni di questo sforzo e dell’impressione che deve aver suscitato al Cremlino, il tonnellaggio totale aerotrasportato a Sarajevo dall’ONU tra il 1992 e il 1996 (un’operazione considerata uno dei più grandi ponti aerei mai effettuati) corrispondeva al quantitativo che veniva aerotrasportato ogni mese a Berlino: al culmine di questa impresa si registrava nella città un atterraggio al minuto (Rupert Smith, “L’arte della guerra nel mondo contemporaneo”, il Mulino, 2009).

Il quantitativo totale dei rifornimenti fatti arrivare in volo a Berlino durante i circa 11 mesi di blocco sfiorò i 700 milioni di tonnellate*, ma in occasione della mobilitazione per la Guerra del Golfo del 1991 (articolata nelle due fasi operative Desert Shield e Desert Storm), il materiale trasportato nel teatro mediorientale da agosto a dicembre del 1990, si attestò a 3-4 volte tanto.

Per questa gigantesca dimostrazione di forza logistica e capacità “bellico-manageriale”, la Marina e l’Aviazione statunitensi coordinarono la loro colossale macchina organizzativa interforze secondo un dosaggio di specializzazione che comportò per la seconda il trasporto della quasi totalità del personale, mentre la prima trasferì nell’area l’80% dei mezzi e dei materiali.

Nella sua autobiografia, l’allora capo degli stati maggiori congiunti (Chairman of Joint Chiefs of Staff), generale dell’US Army, Colin Powell, riporta una descrizione di cosa significhi mettere in moto quello che lui stesso definisce il leviatano militare americano.

Il 6 agosto 1990, a quattro giorni dall’invasione irakena del Kuwait, si trovavano già in stato di allerta: l’82sima divisione aviotrasportata di Fort Bragg, in North Carolina, il quartier generale del 3° corpo dell’Army a Atlanta, in Georgia, e la prima squadriglia tattica di caccia della base di Langley, in Virginia. Tuttavia non era possibile mandare in missione neanche un paracadutista senza passare dal Military Airlift Command: la Federal Express dei trasporti militari.

Il MAC è inquadrato nel TRANSCOM (Transportation Command), che coordina i vertici dei trasporti militari dei quattro servizi armati (US Navy, USAF, US Army e USMC), e dal suo quartier generale nella base aerea di Scott, in Illinois, partono gli ordini per i centri MAC delle due coste: la base aerea di McGuire, nel New Jersey, e quella di Travis, in California.

L’80% degli aerei che compongono la flotta che fa capo al MAC è permanentemente in volo, quando viene diffuso un ordine di mobilitazione prioritario ognuno di questi apparecchi deve atterrare al terminal più vicino, sbarcare il carico e fare rientro alla propria base. Il tutto viene costantemente monitorato dalla sala controllo di Scott dove, tra le altre cose, per ogni velivolo si è a conoscenza del carico trasportato, del carburante a disposizione, dello stato del programma di manutenzione e della composizione dell’equipaggio.

Con l’invio in cielo di ogni veicolo provvisto di ali, l’operatività della flotta MAC passava dall’80 al 100%. Era previsto che oltre sedici mila paracadutisti della 82sima aerotrasportata salissero sui C-141, che delle munizioni, dei pezzi di ricambio, del materiale di manutenzione, tutto quello che occorre in azione a una squadriglia di caccia, fossero caricati sui giganteschi C-5 Galaxy, che degli aerei cisterna decollassero per rifornire gli F-15 in rotta verso il Golfo. MAC aveva ingaggiato anche decine di aerei di linea per completare il ponte aereo (“Un enfant du Bronx”, Odile Jacob, 1995).

L’ultimo arrivato di casa Boeing nel segmento del trasporto strategico è il C-17 Globemaster (foto), portato in dote dalla McDonnell-Douglas con la fusione-acquisizione del 1997. Le sue origini risalgono al programma degli anni ’70 denominato AMST (Advanced Medium STOL Transport), con il quale l’USAF puntava a dotarsi di un apparecchio di taglia media, con decollo e atterraggio corti, per sostituire le serie più datate dei Lockheed C-130 e C-141.

Per l’aggiudicazione avevano rivaleggiato proprio le aziende di Seattle e Chicago-St Louis con i rispettivi prototipi, YC-14 e YC-15, e sarà appunto quest’ultimo a spuntarla con la designazione finale C-17. Il primo volo di questo quadrimotore polivalente è avvenuto il 15 settembre 1991, mentre l’entrata in servizio risale al 14 luglio 1993, nella base aerea di Charleston, in South Carolina, e il primo squadrone venne formato nel gennaio 1995. Le unità assemblate sono state 279, di cui 224 acquisite dall’USAF, e l’ultimo esemplare è stato consegnato al Qatar, prima della chiusura della linea a gennaio del 2016.

Con le sue 82 tonnellate di carico utile il C-17 è stato impiegato in tutti i conflitti che hanno coinvolto gli USA negli ultimi 20 anni, e nell’area del Sahel (in particolare nel nord del Mali, in prossimità della zona detta “dei tre confini”, Mali-Burkina Faso-Niger), fornisce supporto logistico sia alla missione dell’ONU MINUSMA, composta da oltre 12.000 uomini, sia a quella francese iniziata nel 2013 come Serval e divenuta l’anno successivo Barkhane.

Quest’ultima vede tuttora schierati circa 3.500 uomini della grande muette, mentre dal mese di marzo la Germania ha fatto arrivare in zona quattro elicotteri Tigre (foto), che si aggiungono ad altrettanti NH-90, e alcune centinaia di uomini per un totale di circa 1.000, il che fa della Bundeswehr un partner chiave del contingente MINUSMA, rafforzando così la componente franco-tedesca della presenza internazionale in tutta quest’area.

Per ogni Stato, l’acquisizione e il mantenimento del rango di potenza mondiale non possono che passare dalla capacità di azione del proprio apparato militare in ogni scenario di rilievo dello scacchiere mondiale. Fermo restando che nessun Paese (Stati Uniti inclusi), può fare a meno di una rete di alleanze, il dispositivo di proiezione delle Forze Armate USA è da sempre un presupposto essenziale per la leadership internazionale americana, ambito nel quale la componente aerotrasportata svolge un ruolo chiave in termini di tempestività d’impiego e versatilità delle direttrici di rischieramento.

Del resto, come insegano le memorie dell’ex generale Powell, “i boots”, assieme ai necessari mezzi e materiali di supporto, devono pur sempre essere trasportati (e riforniti) “on the ground”, e questo anche quando si ha il vantaggio geografico – accompagnato dall’inevitabile esposizione diretta ai riverberi dei relativi focolai di tensione - di una maggiore prossimità rispetto ai potenziali teatri di intervento dislocati nell’arco di crisi del Greater Middle East, dall’Africa Nordoccidentale al Pakistan.

Il mercato aerospaziale mondiale è da tempo caratterizzato dal dualismo Boeing-Airbus, e in effetti il gruppo di Tolosa rappresenta l’iniziativa europea più riuscita non solo in ambito industriale ma anche nella prospettiva di una Difesa comune. Non a caso, nelle ricorrenti esortazioni per una maggiore concentrazione di capacità produttiva anche nelle altre dimensioni collegate all’attività militare, vengono invocate le corrispettive: “Airbus dei mari” e “Airbus terrestre”.

Queste ultime rappresentano un obiettivo inaggirabile per l’acquisizione di quella che viene definita EDTIB (European Defence Technological and Industrial Base), ma per la traduzione in termini operativi, ad un’adeguata base industriale devono affiancarsi le corrispondenti capacità di elaborazione strategica e di direzione manageriale-organizzativa, e questo implica organismi di centralizzazione della decisione politica e della catena di comando dell’apparato militare.

Negli USA il Dipartimento di Stato (nella foto il QG), titolare della politica estera con al vertice il Segretario di Stato, e il Dipartimento del Tesoro, sono stati istituiti nel 1789, mentre quello della Difesa risale al National Security Act del 1947 (a cui si deve anche la nascita della CIA, del National Security Council e dell’US Air Force), che rese permanente il Joint Chiefs of Staff creato nel 1942. Il tutto a 171 e 160 anni dalla Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 e dalla Costituzione del 1787.

Per quanta pazienza possa richiedere il processo di unificazione continentale (come non mancava di sottolineare saggiamente Helmut Kohl), l’odierno quadro delle relazioni internazionali non offre tutto questo tempo al Vecchio Continnte. Inoltre, tra le istituzioni di cui periodicamente si cerca di rilanciare la costituzione in ambito UE, insieme a un Esercito e un Ministero della Difesa, deve necessariamente figurare anche un TRANSCOM europeo.

 

*Il quantitativo di rifornimenti aerotrasportati durante il ponte aereo su Berlino è espresso in "miglia-tonnellate", un'unità di misura del trasporto aereo tipicamente anglosassone e in particolare statunitense

(foto: Boeing / U.S. Air Force / Bundeswehr / U.S. TRANSCOM / web)